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IL MEZZO è IL MESSAGGIO

Un Vangelo moderno non è comprensibile al mondo

Marshall McLuhan, grande intellettuale, spiegava che forma e contenuto coincidono: perciò il «linguaggio nuovo» non può comunicare le verità di sempre: la Chiesa dunque non riesce più a comunicare il Vangelo non perché usa un linguaggio vecchio, ma perché utilizza un linguaggio nuovo. Dovrebbe quindi reinsegnare il significato delle parole eterne.

Editoriali 01_12_2020

Uno degli intellettuali più noti del Novecento è, senza dubbio, il sociologo Marshall McLuhan (1911-1980). Canadese, convertitosi al cattolicesimo, è autore di alcune tra le più felici espressioni che descrivono l’epoca moderna come «galassia Guthemberg» per indicare il mondo dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili; «villaggio globale» per il mondo rimpicciolito dalle comunicazioni planetarie; media «caldi e freddi», a seconda che anestetizzino o coinvolgano lo spettatore.

Profondo e brillante esperto di comunicazione, non era però – a mio modesto parere – lui stesso un abile comunicatore: spesso, infatti, le sue locuzioni avevano successo ma non venivano capite, o lo erano… al contrario delle intenzioni di McLuhan. C’è una famosa scena, nel film di Woody Allen intitolato Io e Annie (1977), nel quale compare lo stesso sociologo a correggere un giovane professore universitario che non aveva capito nulla delle sue teorie.

Bene, prendiamo la più nota delle locuzioni di McLuhan: «Il mezzo è il messaggio». Questa sintetica frase è ben più comprensibile della spiegazione che ne dà lo stesso autore nel libro Gli strumenti del comunicare (1964). Significa che il mezzo che noi usiamo per comunicare non è neutro, anzi: è più importante del contenuto del messaggio. Il mezzo, infatti, stabilisce la cornice (il frame, in termini tecnici) che permette di comprendere il contenuto.

Facciamo un esempio comprendibile ai lettori de La Nuova Bussola Quotidiana. Quante volte abbiamo sentito frasi come «La Chiesa deve trovare un linguaggio nuovo per comunicare il Vangelo»; «Non si tratta di dire cose nuove, ma di dire le cose di sempre con un linguaggio nuovo»; «Se noi parliamo ma la gente non ci capisce, è tutto inutile»? Bene: se aveva ragione McLuhan, tutto questo non ha senso. Perché il «linguaggio nuovo» non può comuncare le verità di sempre: comunicherà necessariamente cose nuove, fornendo un nuovo frame nel quale il Vangelo non avrà lo stesso significato di sempre.

Non è certo un caso se gli ideologi di genere insistono così tanto sul linguaggio gender-neutral: hanno letto e capito McLuhan (mentre i cattolici non l’hanno né letto, né capito). Al di là del gender, è ovvio che la cultura moderna si è imposta manipolando il linguaggio. La parola «natura», nel linguaggio classico, indica il progetto di una cosa, la sua realizzazione, ossia un concetto metafisico; nel linguaggio moderno indica l’esatto opposto, ossia la pura materia. La «forma», nella filosofia aristotelico-tomista, rappresenta l’essenza della cosa, ciò che rende una cosa ciò che essa è; nel linguaggio moderno diventa accessorio, accidente, l’inessenziale.

Stessa cosa per le virtù: la prudenza, che indica la radicalità nel bene (non solo nel fine, ma anche nei mezzi), diventa indecisione, circospezione; la forza, antidono alla violenza, diventa essa stessa violenza; la giustizia, legalismo; la temperanza si trasforma in continenza. Potremmo continuare, ma il concetto è chiaro: se io cambio il linguaggio, posso utilizzare parole familiari per comunicare l’esatto contrario di ciò che sigificano. Il mezzo è il messaggio, come volevasi dimostrare.

A questo punto si capisce che è assurdo pretendere di comunicare le stesse cose cambiando il linguaggio. Comunicherò meglio cose nuove cambiando il linguaggio, più che cambiando il contenuto ma usando lo stesso linguaggio. E, forse, il problema è proprio questo. Forse la Chiesa non riesce più a comunicare il Vangelo non perché utilizza un linguaggio vecchio, ma proprio perché utilizza un linguaggio nuovo, moderno. Crede di comunicare il Vangelo ma, grazie al linguaggio moderno, comunica modernità. Se vuole comunicare il Vangelo in un mondo moderno, quindi, non deve usare un linguaggio nuovo, ma insegnare (prima di passare i contenuti), il linguaggio vecchio (che io preferisco definire eterno). Il linguaggio, cioè, che rende comprensibile il Vangelo (e non assurdo, come il linguaggio moderno).

Cambiamo medium e vediamo se il ragionamento regge. La musica. È dal Sessantasei che ci frantumano le orecchie con musichette infantili ma ben ritmate per attirare e coinvolgere i giovani. La strategia è sempre quella: cambiare il linguaggio (musicale) per parlare ai giovani. Peccato che anche il risultato sia sempre quello: giovani spariti e un patrimonio musicale perso per sempre. Usando un linguaggio ritmato, si mette in primo piano il corpo, la materia; e in cantina la ragione e lo spirito. Così si allontanano i giovani dalla religione e li si getta tra le braccia del mondo materialista, edonista e consumista.

Non c’è niente da fare: aveva ragione Marshall McLuhan: il mezzo è il messaggio. Utilizzando mezzi moderni, si comunica modernità. Utilizzando un linguaggio eterno, si comunica eternità. Sarà bene tenere questo concetto in opportuna considerazione.