MOSTRE
Un tripudio di natura nell'arte di Arcimboldo
Una mostra in corso a Milano è la possibilità di conoscere un grande e originale artista del '500, che si colloca a metà tra Leonardo e Caravaggio.
Cultura
11_04_2011
Un artista popolare, una pittura originalissima che mette efficacemente a tema il rapporto tra uomo e natura. E' quanto è possibile conoscere visitando la mostra "Arcimboldo, artista milanese tra Leonardo e Caravaggio", in corso a a Milano, Palazzo Reale, fino al 22 maggio.
I visitatori sono accolti da un’opera d’arte outdoor che anticipa il tema dell’esposizione. Una colossale scultura dall’artista americano Philip Haas dal titolo “Winter, after Arcimboldo”. Alta più di quattro metri si ispira in tutto allo stile del pittore cinquecentesco. Un insieme sorprendente di elementi vegetali (corteccia, rami, funghi, muschio, edera e tralci di vite) forma le scherzose sembianze di un ritratto umano.
Singolare è la storia di Giuseppe Arcimboldo, milanese nato nel 1526, vissuto per lo più alla corte di Vienna che alla fine della sua carriera lo nominò per la sua produzione “conte palatino”. Dopo una così gloriosa carriera, nei secoli successivi, Arcimboldo fu del tutto dimenticato: venne riscoperto solo negli anni ’30 del Novecento dai surrealisti che riabilitarono le sue bizzarie manieristiche. Una pittura senz’altro fuori dagli schemi di cui si tenta oggi di riscoprire le radici lombarde. Da quale background culturale nacque l’idea delle sue sovrabbondanti teste “composte” così uniche nel suo genere?
Nel contesto del ‘500 a Milano era apprezzata e diffusa l’arte della caricatura nell’arte popolaresca. Si prendevano di mira soprattutto vecchi e personaggi buffi, lo stesso Leonardo si divertì a misurarsi con la sua galleria di teste grottesche, che rivelano la sua acutezza di osservazione dei tratti del volto. Arcimboldo, come risulta dai documenti dell’epoca, proprio nella sua città si distinse come disegnatore di costumi carnevaleschi e organizzatore di sontuosi cortei in maschera per la classe dei nobili.
Si ipotizza anche che, in gioventù, abbia preso parte all’Accademia della val di Blevio, un singolarissimo consesso di artisti e artigiani locali, guidati da Paolo Lomazzo, pittore e poeta dialettale. Certo è che accostatosi anch’egli al filone del grottesco, Arcimboldo lo arricchì in modo del tutto personale, attraverso lo studio e la conoscenza dell’elemento naturale.
Il campionario con cui l’Autore costruisce e crea i suoi stravaganti ritratti è tratto dall’attenta osservazione della flora e della fauna e costituisce una vera e propria enciclopedia della natura per l’epoca. Le curiosità in natura (anche per la scoperta di nuovi continenti) erano di gran voga e formavano spesso l’arredo delle “Wunderkammer” dei principi. Minerali, gusci di uova giganti, corni e conchiglie rare si fondevano con metalli preziosi e cristallo creando oggetti preziosi. Genere nel quale eccellevano, tra l’altro, già da allora le botteghe milanesi, famose per la loro particolare e raffinata creatività in tutta Europa.
L’abbondanza di “pezzi” e l’efficacia con cui Arcimboldo costruisce le sue creature immaginarie non cessa di stupire. Nel dipinto “Aqua” utilizza 60 elementi per costruire una sembianza umana. Pesci e crostacei di ogni tipo (tutti di mare, tranne la carpa) riempiono ogni spazio vuoto, ogni minima fessura e costruiscono una singolare unità, in bilico tra mostruosità e bellezza. Nelle “Quattro Stagioni”- forse la sua opera più nota- Arcimboldo perfeziona la serie già esistente adattandola al gusto degli Asburgo. Le bizzarre teste piene di fronzoli e capricci di natura, sgrezzate dal gusto popolare, vengono ingentilite nelle sembianze umane per renderle più adatte al palato raffinato dei principi.
Un tripudio gaudente di fiori, erbe, grappoli, pomi e sorprese botaniche che piacque enormemente alla gente di corte. Come anche i suoi quadri ambivalenti che capovolti o osservati attraverso uno specchio cambiano inaspettatamente aspetto. Una splendida natura morte adagiata su un cesto di paglia, capovolta diventa la faccia rubizza di un contadino con naso e guance formati dai prodotti dell’orto e in testa un cappello di paglia. Un pittore senza paragoni, genericamente considerato di scuola leonardesca, ma che con la bellezza delle sue nature morte forse ispirò anche un altro grande milanese, il giovane Caravaggio per l’esecuzione del celebre “canestro di frutta”.