Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
SCENARI EDITORIALI

Un sogno chiamato Rcs: è Cairo l'anti Repubblica

L'editore de La7 vuole il controllo del gruppo che edita il Corriere, impantanato in una difficile ristrutturazione del debito. Un'operazione che spazzerebbe via il controllo delle banche sulla redazione e che darebbe più indipendenza alle scelte editoriali. 

Economia 10_04_2016
Urbano Cairo, patron de La7

Dopo la discussa e chiacchierata operazione Stampubblica (accordo Repubblica-La Stampa), ennesima tappa del progressivo disimpegno di FCA (Elkann-Agnelli-Marchionne) dall’informazione italiana, altre operazioni a sorpresa si registrano negli assetti proprietari dei grandi gruppi editoriali.

Urbano Cairo ha annunciato di voler lanciare un’Offerta pubblica di scambio (Ops) sul gruppo Rcs, di cui ha già in portafoglio il 4,7% del capitale. L’iniziativa punta alla conquista di almeno il 51% delle azioni della casa editrice attraverso l’offerta di 0,12 azioni della Cairo Communication per ciascuna azione ordinaria della società di via Rizzoli.

La quotazione del gruppo Rcs è di 775 milioni di euro, di cui 487 sono debiti dei quali l’editore torinese si farebbe carico. I rimanenti 290 rappresentano il valore della società, che Cairo vorrebbe trasformare in un grande gruppo editoriale multimediale dotato di una leadership stabile e indipendente.

Rcs è un gruppo che, nonostante la saggia e competente guida di Maurizio Costa, necessita di ristrutturazione e rilancio, dopo le discutibili operazioni dell’ex amministratore delegato Scott Iovane, che aveva depauperato il patrimonio, anche immobiliare, del gruppo, senza avviare contestualmente alcuna iniziativa di crescita. Sembrava che Scott Iovane fosse stato messo lì da Fca solo per liquidare alcuni tesori e per preparare l’uscita di Elkann dal gruppo. La produzione editoriale ne ha risentito fortemente, come i giornalisti del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport e delle altre testate Rcs hanno avuto modo di sperimentare sulla propria pelle.

Rcs è ora impantanata in una difficile ristrutturazione del debito con le banche. Peraltro, tra gli azionisti Rcs, nessuno ha preso posizione di fronte a quest’annuncio di Cairo, tranne Intesa San Paolo (che detiene il 4,17% delle azioni) e che sarebbe favorevole all’operazione. Mediobanca, Unipol, Pirelli e Della Valle, invece, non si pronunciano, ma sarebbero più tiepidi. Forse aspettano di capire meglio i dettagli dell’Ops e le reazioni nel mondo finanziario, politico ed editoriale. E poi ci sarà da verificare la fattibilità di quest’offerta di Cairo, alla luce del quadro giuridico vigente e quindi degli eventuali rilievi che Antitrust e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) dovessero muovere.

Intanto c’è da interrogarsi sugli effetti che la scalata di Cairo al gruppo Rcs potrebbe avere sulla libertà d’informazione. L’editore de La 7 ha dimostrato di essere un imprenditore concreto e determinato, operoso e a tratti illuminato, partito dal nulla e perseverante nelle sue azioni. Verosimilmente imprimerebbe al gruppo Rcs un energico dinamismo, anche sul piano commerciale, e lascerebbe, probabilmente, una maggiore autonomia al Corriere della Sera e alle altre testate del gruppo sul piano delle interferenze con la politica.

Cairo deve sicuramente molto a Berlusconi ed è a lui in qualche modo legato, ma l’ex Cavaliere è ormai praticamente fuori dalla politica attiva. D’altra parte, la storia del più importante quotidiano d’Italia è sempre stata condizionata dal potere finanziario e dal patto di sindacato, con banche e soggetti bancari a scegliere i direttori e a pilotare in maniera sottile e subdola le scelte giornalistiche. Con Cairo da questo punto di vista forse ci sarebbe un passo avanti nella direzione di una maggiore emancipazione e indipendenza. Ma è ancora presto per tirare conclusioni. Saranno il mercato e le scelte editoriali a decretare se si tratti di un’operazione virtuosa oppure no.

Anche sul versante televisivo nei giorni scorsi si è concretizzato un accordo che era nell’aria da tempo: il matrimonio tra Mediaset e Vivendi, con il gruppo di Cologno Monzese che diventa il secondo azionista privato del colosso francese. L’orizzonte è quello di far nascere un nuovo polo europeo anti-Sky, per sfidare Netflix nella battaglia sui contenuti web. Dopo 30 anni dallo sbarco in Spagna, Mediaset non aveva praticamente più ampliato i suoi confini. Ora lo fa con un’alleanza che prelude a una crescente integrazione col gruppo francese. Anche perché il mercato televisivo deve fare i conti con soggetti sempre più aggressivi. A parte Netflix, non si dimentichi Youtube, Amazon e Apple.

Tutte queste operazioni dimostrano quanto ormai siano anacronistici quei chiacchiericci da ballatoio sulla libertà d’informazione e le posizioni dominanti nel settore audiovisivo, considerate ormai le dinamiche globali del mercato e gli scenari sovranazionali nei quali si situano le attuali trasformazioni e operazioni.