Un referendum del genere
Ieri mattina, diligentemente, da bravo cittadino, mi sono recato a votare per il referendum costituzionale. Ma quale sorpresa nel vedere che gli elettori venivano identificati dividendoli tra uomini e donne. Per decisione dello Stato. ma non è lo stesso Stato che ci bombarda per superare le divisioni di genere?
Ieri mattina, diligentemente, da bravo cittadino, mi sono recato a votare per il referendum costituzionale. Sono un tipo «vecchio stampo» e le elezioni mi comunicano sempre qualcosa di «sacrale», di «liturgico». Tra l'altro, sono stato moltissime volte scrutatore, segretario e presidente di seggio, e ricordo con piacere quelle lunghe e faticose giornate che mi permettevano, da studente, di disporre di un po' di denaro. Il trucco del lavoro al seggio elettorale consiste nel procedere in modo veloce e preciso, e nel dirimere in modo pacifico eventuali contestazioni.
Questi ricordi mi assalivano mentre entravo nella scuola che ospitava le sezioni referendarie e salutavo, senza troppo indugiare, amici e conoscenti rappresentanti del SI o del NO. Senza troppo indugiare perché, ai seggi, il clima è sempre piuttosto teso; e qualche parola in più può costare una amicizia. Meglio, dunque, rimandare le chiacchiere ad un'altra occasione.
Giunto alla sezione che mi è stata assegnata ho aspettato il mio turno. Ad un certo punto il Presidente mi ha indicato con la mano il banco alla sua destra, seduto al quale mi attendeva una sorridente signorina con una penna in mano ed un registro davanti a sé. Sul banco, ben visibile, un cartello con scritto: «UOMINI».
Ma come... e la lotta ai pregiudizi di genere? L'abbattimento delle costruzioni sociali per le quali l'umanità è stata proditoriamente divisa in uomini e donne, causando tutti i mali possibili ed immaginabili? Possibile che ai seggi non siano informati della nuova attuale era senza generi? Che né il Presidente, né gli scrutatori si siano sentiti offesi per un simile incasellamento coatto degli elettori in due categorie assolutamente arbitrarie?
Ho guardato il Presidente, probabilmente con una espressione ebete, perché ha ripetuto il gesto dicendo: «Prego, gli uomini a destra». Io non mi sono mosso e, con tutto il rispetto che ho nei confronti di un Presidente di seggio referendario, ho chiesto: «Non si può scegliere?».
Il Presidente mi ha guardato come se fossi un idiota, e ho inteso sghignazzare, alla mia destra, una giovane scrutatricia. Il mio interlocutore ha ripetuto (per la verità un po' scocciato): «Gli uomini a destra!» E ha aggiunto «Per favore, c'è gente che aspetta...». Così mi sono avvicinato al banco alla mia sinistra e ho porto i documenti alla scrutatricia. Lei mi sorrideva ancora, così ho osato: «Ma questa suddivisione degli elettori in uomini e donne è una vostra iniziativa per semplificare le operazioni?».
La gentile signorina mi ha risposto sorridendo (non so se era divertita o se ci stava provando): «No... I due registri sono arrivati così dal comune...».
Sentivo che il clima nel seggio mi era ostile, ma non ho potuto fare a meno di chiedere: «Ma come! Il comune ha speso una barca di soldi per insegnare ai cittadini che le categorie “uomini” e “donne” sono artificiose ed ingiuste! E adesso li obbliga ad adeguarsi a queste ignobili suddivisioni?». In quel momento ho visto il Presidente avvicinarsi alla scrutatricia alla sua destra, probabilmente la vice-presidenta; l'ho inteso persino sussurrare qualcosa a proposito del «poliziotto nell'atrio». Così ho afferrato la matita (che non mi è parsa essere copiativa, per la verità), la scheda, e mi sono precipitato nella cabina.
Ho tanti difetti e ho commesso qualche errore nella mia vita; ma mai e poi mai vorrei essere accusato di turbativa elettorale.
I lettori della Bussola mi sono testimoni: non sono un militante della teoria del gender, anzi: più volte ho pubblicamente avanzato le mie perplessità nei confronti di quella che, più che una insulsaggine, mi sembra un pericolo ideologico per la nostra società occidentale (o per quel che ne rimane). La mia insistenza non era quindi dovuta ad una manifestazione pubblica a favore dell'abolizione dei ruoli di genere; semplicemente ero davvero confuso di fronte ai due registri che suddividono i cittadini in «uomini» e «donne», dopo il bombardamento che gli organi dello Stato hanno fatto contro questa stessa suddivisione.
Uscito dalla cabina ho consegnato scheda e matita (davvero, non mi è sembrata copiativa), ho salutato educatamente i componenti il seggio e sono uscito. Dalla confusione che avevo in testa, un solo pensiero emergeva con la chiarezza di un raggio di sole che buca la nebbia padana: l'Italia è davvero un paese strano.