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VIGILIA DELLE REGIONALI

Un patto anti-inciucio fra i partiti del centrodestra

I tre partiti di centrodestra, Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia, formalizzano la loro alleanza. Hanno firmato un patto "anti-inciucio" per evitare che, come nel 2018, l'alleanza si disfi e uno dei tre vada con 5 Stelle o Pd. Si tratta di una risposta alla "santa alleanza" fra i due partiti di governo, che rischiano di perdere regioni chiave

Politica 20_08_2020
Berlusconi, Meloni e Salvini

Mentre i partiti di maggioranza sotto sotto sperano di riuscire a rimandare nuovamente il voto regionale per paura di perdere la guida di importanti regioni come Puglia, Marche e Toscana, il centrodestra prova a ricompattarsi dopo le incomprensioni dei mesi scorsi. Se sul Mes e anche sui temi etici Forza Italia ha spesso mostrato di essere più vicina alle forze di governo anzichè agli alleati, sulle riforme di sistema e su un programma di governo alternativo a quello di Pd e Cinque Stelle i tre partiti del centrodestra hanno le idee molto chiare.

A sancire la ritrovata unità un patto anti-inciucio siglato due giorni fa da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia su iniziativa di Giorgia Meloni. A onor del vero, non è una vera e propria novità, visto che era già stato sancito un impegno simile prima della nascita del primo Governo Conte. A volerlo era stato Matteo Salvini, timoroso che Silvio Berlusconi rompesse il centrodestra alleandosi con Matteo Renzi. Ironia della sorte, fu poi lo stesso leader del Carroccio a violare quel patto, alleandosi con i grillini per dar vita al Conte 1. Anche in questo caso è prevista la possibilità di risoluzione consensuale dell’intesa, qualora cambiasse il quadro politico.

Ma cosa prevede in concreto questo patto? I tre partiti «si impegnano a non dare corso, in questa e nella futura legislatura, a qualsiasi accordo di governo con partecipazione diretta o esterna, insieme ad altre forze politiche, fatto salvo una formale unanime e diversa intesa tra le forze politiche che sottoscrivono il presente documento». Al di là delle formule politiche, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia cercano di consolidare l’alleanza in vista delle prossime elezioni regionali e amministrative e di ipotetiche elezioni politiche anticipate. Lo fanno mettendo nero su bianco una lista di priorità per la coalizione: autonomia differenziata, riforma della giustizia, presidenzialismo.

Per compiacere i leghisti, infatti, nel documento viene inserito l’impegno «a dare seguito alla richiesta del Presidente del Veneto di porre tra i temi prioritari il riconoscimento di autonomia differenziata delle Regioni che lo richiedano in attuazione dell’art.116, terzo comma, della Costituzione, mediante una comune e coordinata attività parlamentare che ne assicuri la realizzazione nel rispetto del documento alleato, richiamato al punto 2 del presente accordo». Vengono inoltre rilanciati i punti programmatici di centrodestra sottoscritti in vista delle elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Al di là della solennità dell’impegno assunto dai tre leader della coalizione di centro-destra che significato può avere questo patto? Qualcuno lo vede come l’inevitabile risposta alla “Santa Alleanza” tra Pd e Cinque Stelle, che blinda il Governo e allontana l’ipotesi di governi di solidarietà nazionale. Se i dem optano per l’abbraccio con i pentastellati anche in periferia, diventa alquanto improbabile che gli azzurri possano fornire stampelle all’attuale esecutivo. Il ricompattamento del centrodestra è l’effetto inevitabile della radicalizzazione del fronte di sinistra, alla quale in verità si sottrae Matteo Renzi, contrario all’accordo con i grillini e quindi intenzionato ad andare per conto suo alle regionali, presentando propri candidati. Peraltro sia in Puglia che nelle Marche, le regioni più in bilico, Pd e Cinque Stelle non si schiodano dalle rispettive posizioni e non rinunciano a presentare ciascuno il proprio candidato, correndo il serio rischio di consegnare la guida di quelle due regioni agli avversari di centrodestra.

Gli elettori vedono quindi nel centrodestra unito la vera alternativa all’attuale equilibrio precario tra gli alleati di governo, ma l’incognita dell’emergenza sanitaria continua a rendere incerta l’evoluzione del quadro politico. L’eventuale rinvio delle regionali e amministrative di settembre potrebbe dare a dem e grillini il tempo di cementare l’alleanza sui territori e di ribaltare gli ultimi sondaggi che li vedono in svantaggio. Le attuali intenzioni di voto significano molto poco se la legislatura dovesse durare fino alla fine. Di qui al 2023 possono cambiare tante cose. Certo è che se il centrodestra il 20 e 21 settembre dovesse strappare altre due-tre regioni al centrosinistra, diventerebbe ancora più difficoltosa la navigazione dell’attuale esecutivo. Il premier Giuseppe Conte, terrorizzato dal precedente di Massimo D’Alema, che vent’anni fa si dimise da premier dopo aver perso le elezioni regionali, se ne guarda bene dal metterci la faccia («Non farò campagna elettorale per le elezioni del 20 e 21 settembre», si è affrettato a dichiarare). Tuttavia, l’intervista che ha rilasciato ieri al Fatto Quotidiano, nella quale auspica un’intesa organica tra Pd e Cinque Stelle anche nelle Marche e in Puglia, lo espone non poco. E se, come pare, quell’intesa non arriverà, la sua immagine ne uscirà appannata, perché si capirà che il suo potere persuasivo sui partiti di coalizione è in netta discesa. Senza dimenticare, peraltro, le sue origini pugliesi.