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Cambiamento climatico

Un New Deal verde globale, a spese di chi?

 

Per “salvare il pianeta” e raggiungere i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 l’Onu progetta un New Deal verde. All’astronomica quantità di trilioni necessari ci pensino i paesi ricchi

Svipop 29_09_2019

Bisogna salvare il pianeta che l’uomo fa diventare sempre più caldo. “Il pianeta brucia” scandivano il 27 settembre gli studenti in sciopero per il terzo Friday for Future. Benché quella del global warming antropico continui a essere una congettura, tutte le agenzie Onu si regolano ormai come se fosse una verità scientifica. Anche l’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, dice la sua. Lo fa nel suo “Rapporto 2019” spiegando che, data la situazione, per trovare i fondi necessari a realizzare  gli obiettivi di Sviluppo sostenibile entro il 2030 – un piano di lotta per vincere le sfide del nuovo millennio concordato nel 2015 durante la 70a Assemblea generale dell’Onu – è necessario ridefinire radicalmente i rapporti multilaterali incentrandoli attorno all’idea di un New Deal Verde globale. Il punto di non ritorno è più vicino di quanto si immaginasse, resta davvero poco tempo, è necessaria un’azione immediata – spiega l’Unctad -  l’ammontare dei fondi necessari per evitare la catastrofe climatica è passato dai milioni ai miliardi di dollari. Per i soli paesi in via di sviluppo occorrono 2,5 trilioni di dollari all’anno più del previsto. Ma molti paesi in via di sviluppo sono troppo indebitati. Nonostante la cancellazione tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo del debito estero di oltre 30 paesi, il loro indebitamento ha raggiunto di nuovo livelli elevati. In Sudafrica, ad esempio, il debito pubblico è passato dal 31% del Pil nel 1980 al 53% nel 2017. Per soddisfare le esigenze di investimento il Pil di molti stati dell’Africa sub sahariana dovrebbe aumentare del 21% all’anno, cosa evidentemente impossibile. Il rimedio a questa carenza di risorse – sostiene il rapporto Unctad – è un piano in cinque punti: istituire un programma di prestito globale agevolato; aumentare i diritti speciali di prelievo e dedicarli alla protezione dell’ambiente; alleviare il debito dei Paesi meno sviluppati “senza condizioni o criteri di ammissibilità troppo restrittivi”; rafforzare la cooperazione monetaria tra i Paesi di una stessa regione per rifinanziare e promuovere il commercio intraregionale; rivedere il quadro legislativo del meccanismo di riprogrammazione del debito in caso di difficoltà nel rimborso”. Se qualcuno pensa che si tratti di un piano innovativo, si sbaglia. Almeno per l’Africa, è quel che si è fatto dalla fine della colonizzazione europea in poi – finanziamenti a tassi agevolati, rinegoziazione dei termini di restituzione, cancellazione del debito, un Piano Marshall dopo l’altro… – con i deludenti risultati che tutti all’Onu non possono non conoscere.