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MEDIO ORIENTE

Un Natale di guerra per i cristiani di Gaza e della Cisgiordania

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I pochi cristiani di Gaza sono presi in trappola. Quelli della Cisgiordania sono sotto pressione. Pizzaballa non perde l'ottimismo "come ogni notte, finirà"

Esteri 23_12_2023
Rafar, striscia di Gaza (La Presse)

È una Vigilia di Natale di guerra. La situazione è sempre drammatica. A Gaza si distrugge, si uccide e si muore. Sono ancora in molti sotto le macerie delle case distrutte dalle bombe e dagli attacchi dei mezzi corazzati. Anziani smarriti e rimasti senza alcun sostegno. Le ferite di questa guerra hanno ormai sopraffatto le frange più deboli della popolazione e ci richiamano alla mente un passato, lontano molti decenni, che pensavamo aver lasciato definitivamente alle spalle. Ma così, purtroppo, non è.

Nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di Gaza è stato allestito un presepio. I rifugiati, che hanno trovato in quel luogo un tetto per ripararsi dalle bombe, dopo aver perso la loro casa, si radunano intorno alla capanna in attesa della nascita di Gesù. Hanno le lacrime agli occhi. I loro sguardi sono spenti. Non hanno più dignità. Hanno, però, la certezza che il Dio-bambino li sosterrà, condividendo con loro i patimenti.

I cristiani di Gaza hanno paura. Tanta paura per la guerra che si sta protraendo ormai da oltre due mesi.  Vivono nel terrore, sia per l'attacco sferrato, senza alcuna motivazione, dalle truppe di terra dell'esercito israeliano contro i locali della parrocchia cattolica, sia per la distruzione di una parte dell’edificio delle suore di Madre Teresa che ospitava 54 bambini con gravi problemi fisici. Molti dei quali sopravvivono con il respiratore. In quell'operazione un cecchino israeliano ha ucciso due donne. Madre e figlia. Si chiamavano Nahida Khalil Anton e Samar Kamal Anton, entrambe cristiane. Vivevano all'interno della struttura della chiesa parrocchiale latina di Gaza, assieme ad altre settecento persone che lì hanno trovato un rifugio.

E proprio in merito a quest’attacco dell’esercito israeliano alla comunità cristiana di Gaza, il patriarca Pizzaballa ha dichiarato di aver trasmesso alle autorità israeliane un documento molto dettagliato. Nel frattempo, nei locali della chiesa, la situazione, già di estrema precarietà, si è ulteriormente aggravata per la presenza dei cinquantaquattro disabili che hanno dovuto spostarsi dal loro luogo di residenza. Pizzaballa riferisce inoltre di essere in contatto con le autorità e di aver letto un primo comunicato dell'esercito che “sembrava negare” tutto, ma in seguito c'è stata una correzione che ammetteva i fatti.

Sorprende che quest’azione, ancora oggi, non abbia trovato alcuna giustificazione ufficiale e definitiva da parte dell'esercito o del governo. Ma sconcerta, in modo particolare, come i media locali continuino ad ignorarla o tentino di squalificala. È il caso del Jerusalem Post che, in una sua corrispondenza a firma di Eliyahu Freedman, scrive di un «presunto attacco mortale israeliano contro l'unica chiesa cattolica romana che serve come rifugio per i cristiani sfollati». E prosegue: «Lo scorso 16 dicembre, il Patriarcato latino di Gerusalemme, rappresentante della Chiesa cattolica nella capitale israeliana, ha accusato Israele di aver ucciso madre e figlia ospitate in una chiesa cattolica a Gaza. La dichiarazione accusa anche Israele di aver sparato contro un convento che ospita 54 persone con disabilità e di aver messo fuori uso il suo generatore. Il Patriarcato ha successivamente condiviso quelle che, secondo il suo punto di vista, erano foto dell’attacco».

Perché mettere in dubbio quanto accaduto di così grave, il fatto che un cecchino dell'esercito israeliano abbia ucciso delle persone che nulla avevano da condividere con i terroristi di Hamas?  Ma se non erano soddisfacenti le dichiarazioni del Patriarcato e le immagini rese pubbliche, era sufficiente controllare le foto del funerale e altre ancora che riprendevano alcune persone mentre stavano predisponendo nel terreno la tomba delle due vittime innocenti. Negare e disconoscere la realtà è un meccanismo di difesa tutt’altro che “corretto”.

Nonostante tutto il cardinale Pizzaballa è ottimista: «La ripresa ci dovrà pur essere. Tutte le notti finiscono, anche questa finirà. Abbiamo bisogno di una nuova leadership che ci aiuti a riannodare i fili delle relazioni spezzate e isolare chi opera il male e che non vuole farci credere che sia possibile uscire da questa situazione. Ma noi dobbiamo farlo. Natale è Dio che si fa presente in questo mare di odio, di violenza, di rancore e di sfiducia. Abbiamo bisogno che questo bambino risvegli nel cuore, anche il più duro, il desiderio di voltare pagina».

Attorno al complesso cattolico, la zona è quasi completamente distrutta. Da parte del Patriarcato Latino si sta tentando di rafforzare il coordinamento con le forze armate israeliane, che pare abbiano finalmente capito cosa rappresenta quel luogo.

Intanto, aumentano le vittime anche tra i cristiani. Per decessi collegati alle azioni di guerra o per l’impossibilità di cure i morti hanno raggiunto il numero di 22. Dal 7 ottobre a Gaza sono 20mila i morti palestinesi ufficiali, di cui 7mila minori; a questi vanno aggiunti oltre 50mila feriti, compresi molti bambini con amputazioni, e migliaia di dispersi.

I cristiani di Gaza ricordano ancora la visita dello scorso anno del patriarca di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, la domenica precedente il Natale. Ma per la festa della Natività di quest'anno, Pizzaballa aveva in programma di fermarsi alcuni giorni. Voleva visitare tutte le famiglie, erano state organizzate la prima comunione e la cresima per alcuni bambini e ragazzi. Tutti gli appuntamenti, naturalmente, sono stati cancellati.

Nella Striscia di Gaza qualche asino è rimasto ancora in vita. È riuscito a salvarsi dalla furia indiscriminata delle bombe sganciate dall'aviazione israeliana. Quello stesso animale da soma, duemila anni fa, portava sulla groppa Maria, accompagnata da Giuseppe, verso Betlemme per il censimento imposto dall'imperatore romano. Maria era prossima al parto. Diede alla luce un bambino e, come tutti i bambini, fu avvolto in fasce. Era il figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza. Anche quest'anno, Gesù nasce ancora una volta, naturalmente nei cuori dei credenti, in una Betlemme deserta e mesta, ma peggio ancora tra i cristiani di Gaza, minacciati dalla guerra, una striscia di terra distante solo alcune decine di chilometri, dalla città che diede i natali anche al re Davide.

Oggi, nella basilica della Natività, nel luogo in cui, duemila anni fa, è stato deposto su una mangiatoia il bambinello, non ci sono né pellegrini, né turisti. Un desolante silenzio, che richiama però alla mente i tanti, tantissimi bambini travolti e ancora minacciati dalla cieca violenza della guerra. Secondo un rapporto dell'Oms, un bambino, ogni dieci minuti, viene ucciso a Gaza. In città i negozi sono sprangati, le scuole chiuse, poca gente per strada. I territori della Palestina isolati, nessuno può entrare o uscire.

Intanto prosegue la "guerra silenziosa" in Cisgiordania. L'esercito israeliano continua le sue operazioni a Nablus, Ramallah, Tulkarem, Betlemme, Hebron, Salfit e Tubas, ma anche a Gerusalemme Est, arrestando uomini, donne e bambini. Tutti "arresti amministrativi", così vengono definiti, cioè carcerazioni in attesa di un’accusa precisa. Dal 7 ottobre ad oggi sono 4630 le persone incarcerate.

Prosegue poi, sottotono, senza clamori, l'occupazione illegale dei terreni. Il Dipartimento per gli insediamenti del governo guidato da Benjamin Netanyahu ha reso pubblico, in piena guerra, un nuovo piano per la realizzazione di 250 appartamenti per l'espansione della colonia “Etzafraim”, che si trova sulle terre di Qalqilya e Salfit, con la conseguente distruzione di una piantagione di ulivi di circa 104 dunum (unità di misura agraria che risale al periodo ottomano, ndr) appartenente a famiglie palestinesi.