Un Napolitano deludente passa la palla a Prodi
Napolitano chiude il 2014 con un discorso deludente, privo dei grandi temi dell'anno e carico di ovvietà. La cosa più interessante che ha detto riguarda il successore, descritto come un politico di lungo corso, stimato dalle istituzioni internazionali. Quindi: Romano Prodi. Spetta al Pd scegliere se seguirlo o meno.
Chiedere a un uomo di 90 anni di continuare a fare il Presidente della Repubblica, come ha fatto il Presidente del consiglio nei giorni scorsi, dimostra l'incapacità della politica di individuare soluzioni ai problemi del Paese e di garantire stabilità.
La paura di non riuscire a individuare una nuova figura di garanzia, ammesso che Napolitano lo sia stato, è la riprova del fallimento della cosiddetta seconda Repubblica, imperniata su un finto e precario bipolarismo e sul susseguirsi di governi inadeguati o, peggio ancora, non eletti dal popolo e disegnati a tavolino da poteri forti o presunti tali. Affidarsi accoratamente a Giorgio Napolitano, come fecero venti mesi fa quasi tutte le forze politiche, e chiedergli di concedere il bis, fu una prova di impotenza da parte del Pd e dell'allora Pdl, che si è rivelata foriera di altre forzature della Costituzione. I Padri Costituenti idearono nel 1947 una forma di governo parlamentare e assegnarono al Capo dello Stato un ruolo notarile. La dialettica tra i partiti doveva cioè trovare nelle aule parlamentari le necessarie sintesi e l'inquilino del Quirinale doveva, da arbitro, garantire che l'equilibrio tra i poteri salvaguardasse la qualità della democrazia. Sappiamo come è andata, con vari presidenti interventisti come Cossiga e, a tratti, financo faziosi, come Scalfaro.
Possiamo ora lucidamente archiviare anche il "novennato" di Napolitano come un periodo più di ombre che di luci, contrassegnato da sistematiche invasioni di campo e da un eccesso di esternazioni che hanno progressivamente snaturato il dettato costituzionale e alimentato il sospetto che in realtà "re Giorgio" avesse in mente un disegno ben preciso per l'andamento della politica italiana. A partire dalla nomina a senatore a vita di Mario Monti si capì che a Napolitano non stava più di tanto a cuore la volontà popolare, bensì la sintonia con i "soloni" europei, artefici del disastro finanziario che ha travolto il Vecchio Continente dall'avvento dell'euro in avanti. Le ragioni che portarono, nell'aprile 2013, un ampio concerto di forze politiche a riaffidarsi a Napolitano, rimangono, purtroppo, tutte pienamente valide. Il clima politico può dirsi tutt'altro che rasserenato e la cosiddetta "fase emergenziale" è ancora in corso. Il "Patto del Nazareno" ha di fatto prodotto laceranti fratture all'interno dei maggiori partiti e ha lasciato campo libero a forze alternative come la Lega di Salvini e il Movimento Cinque Stelle. Le riforme del governo Renzi sono per ora tutte sulla carta e, in caso di scioglimento anticipato della legislatura, si dissolverebbero come neve al sole.
Ecco perché il discorso di fine anno di Napolitano è apparso debole e, per certi versi, inopportuno nei contenuti. Pienamente giustificato un Presidente della Repubblica che, per anzianità e per ragioni di salute, esce di scena. Difficile, però, riconoscersi in alcune sue affermazioni ottimistiche circa lo stato di forma della legislatura. Il processo riformatore non è "a buon punto", bensì appare ancora fragile e una mancata intesa sul nome del successore di Napolitano potrebbe interromperlo o pregiudicarne gli esiti. Da un Presidente al suo ultimo discorso di fine anno ci si aspettava un riferimento alla questione dei marò o alle sfide di Expo 2015, ma anche uno sguardo di più ampio respiro sulle difficoltà dell'economia, del mercato del lavoro, sulla necessità inderogabile di un potenziamento infrastrutturale nei servizi in Rete per ampliare la cosiddetta "cittadinanza digitale". Invece Napolitano ha preferito volare basso, fermarsi alla (scontata) denuncia della corruzione dilagante ("occorre bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società", come se fosse compromesso soltanto il “sottosuolo”), esortare gli italiani a non lasciare la scena solo ai "cittadini indegni" e a reagire ("Mettiamocela tutta con passione, combattività e spirito di sacrificio. Ciascuno faccia la sua parte"). Nulla, quindi, che possa lasciare un segno indelebile e trasmettere certezze rassicuranti sulla nuova fase che si aprirà fra un paio di settimane.
Forse la cosa più interessante delle parole di Napolitano è stato il riferimento al suo successore. Ha lasciato intendere che dovrà proseguire il suo lavoro di pacificazione e stimolare ulteriormente il processo riformatore. Un politico, quindi, più che un tecnico. Un soggetto autorevole che sia stimato a livello internazionale e conosca a fondo i meccanismi di funzionamento degli organi dello Stato. Tramontano, quindi, le ipotesi Draghi, Visco, Padoan e si staglia all'orizzonte il profilo di Romano Prodi. E anche Berlusconi dovrà fare buon viso a cattivo gioco. Ma questa è solo una delle ipotesi. Il Pd è una polveriera pronta ad esplodere e non si può escludere che un Prodi candidato del "Patto del Nazareno" e degli alfaniani venga impallinato dalle truppe dem. La figuraccia di due anni fa si ripeterebbe e aprirebbe la strada a Grasso o a Finocchiaro o ad altre figure delle istituzioni.