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VERSO IL VOTO

Un nano referendum senza prospettive

Verso il referendum sulla riduzione dei Parlamentari. Nessuno degli argomenti portati dall’uno e dall’altro schieramento sembra decisivo. Tanto che si ricorre a temi fuori dallo stretto contesto e più propriamente politici. E' un nano-referendum per assoluta mancanza di prospettiva organica. E prelude ad una legge elettorale puramente proporzionale che favorisce il ritorno alla prima repubblica e la precipitazione verso forme di democrazia protetta.

Editoriali 13_09_2020

Quello del 20-21 settembre è un referendum conservativo di un testo di legge (frutto di quattro voti parlamentari, l’ultimo dei quali vide prevalere il sì quasi all’unanimità) e non abrogativo. Significa in sostanza che non occorre il quorum: se uno solo si reca alle urne, prevarrà il suo voto.

Si vota per confermare la riduzione dei parlamentari (e i senatori a vita nel numero massimo di 5). Se prevale il sì si conferma la riduzione della Camera dei deputati a 400 membri e del Senato della Repubblica a 200 (attualmente sono 630 e 315), con una diminuzione in entrambi i casi del 36,5%. La riduzione dovrebbe comportare risparmi di poco superiori a 80 milioni di euro.

Su questi dati si innesta un duplice ordine di riflessioni: la prima di carattere “comparatista”, la seconda più eminentemente politica.

L’erba del vicino. Da una parte, sul fronte del no, si fa presente che la conferma della riduzione dei parlamentari comporterebbe una “sotto rappresentanza” rispetto ai rappresentanti per 100.000 abitanti negli altri principali Paesi dell’Unione europea. In sostanza l’Italia avrebbe 0,7 eletti ogni 100.000 abitanti, il numero più basso nell’Unione europea, meno di Regno Unito (1, facciamo finta che non ci sia stata la Brexit), Germania (0,9), Francia (0,9) e Spagna (0,8), tenendo in considerazione le Camere basse, vale a dire quelle i cui componenti sono eletti direttamente dal popolo. “A seguito delle modificazioni così proposte, il numero degli abitanti per deputato aumenterebbe così (da 96.006) a 151.210. Il numero di abitanti per ciascun senatore aumenterebbe (da 188.424) a 302.420 (assumendo il dato della popolazione quale reso da Eurostat)”, come si legge nel dossier del 25 giugno 2019 predisposto da Camera e Senato.

Inoltre si rimarca che alcune regioni vedrebbero calare i propri rappresentanti in modo sensibile (soprattutto al Senato, dove il numero minimo passerebbe da 7 a 3, salve eccezioni per Molise e Valle d’Aosta), così come i rappresentanti eletti all’estero (che passerebbero da 12 a 8 per la Camera e da 6 a 4 per il Senato).

Il fronte del sì risponde che l’efficienza del parlamento non si misura in numeri di parlamentari, che in ogni caso secondo Costituzione il parlamentare rappresenta la Nazione e non il collegio nel quale viene eletto e soprattutto che non vi sono rischi di lesione alla democrazia se si considera la rappresentanza nelle altre istituzioni locali e sovranazionali. Ceccanti (Sapienza di Roma, parlamentare) al riguardo afferma: “La sussidiarietà si è espansa sia sotto sia sopra lo Stato nazionale. Possiamo pensare che essa debba solo creare istituzioni aggiuntive senza toccare quelle che ci sono?”.

Il benaltrismo. Sul fronte del sì, evidentemente anche per serrare le fila e portare acqua al mulino della conferma (che qualche mese fa pareva più scontata di oggi), si anticipa che occorrerà mettere mano alla legge elettorale (si muovono già i fautori del proporzionale e si discute sullo sbarramento che dovrà essere il più basso possibile per fare entrare in parlamento Leu, Italia Viva e coriandoli vari), che sì occorrono altre riforme costituzionali, ma intanto ci portiamo a casa questa. In realtà occorrerà revisionare anche i regolamenti parlamentari per disciplinare la partecipazione alle commissioni, affinché anche i gruppi meno folti (specie alla Camera) possano accedere ai relativi lavori.

Interessante notare che questo aspetto – che si tratti cioè di un primo passo – è visto da alcuni in senso positivo e da altri in senso negativo. Sempre Ceccanti sostiene che “il successo del Sì può dare a tutti coraggio per percorrere altre tappe, altrimenti si bloccherebbe tutto”.

Al contrario Pisaneschi (Università di Siena)Il primo retropensiero è che questo possa essere il primo passo. Altri ne seguiranno (ma non si sa assolutamente in quale direzione). Vi è cioè l’idea che si possano fare modifiche costituzionali a pezzetti, senza una visione chiara dell’insieme, di dove si voglia arrivare, sulla base di quali valori e attraverso quali istituti giuridici. È Il modello spesso seguito dalle costituzioni sudamericane dove le modificazioni costituzionali sono frequentissime, fatte per singoli frammenti, seguendo i mutamenti dei differenti governi in carica. Attraverso di esse i governi promettono cambiamenti e miglioramenti sociali (che poi non si verificano) ma che danno – nel breve termine – ai medesimi governi, un certo surplus di legittimazione e di stabilità politica”.

Ad onor del vero, sul piano strettamente giuridico, nessuno degli argomenti portati dall’uno e dall’altro schieramento sembra decisivo. Tanto che si ricorre a temi fuori dallo stretto contesto e più propriamente politici. Proprio per questa ragione, a mio avviso occorre leggere in filigrana e cercare di avere una visione d’insieme.

Sino ad oggi tutte le riforme che prevedevano la riduzione del numero dei due rami del Parlamento, compresa l’ultima di Renzi, lo facevano in un quadro forse articolato e complesso ma senz’altro sistematico, cercando di dare una impronta diversa rispetto al bicameralismo perfetto (Camera e Senato con pari poteri) che connota la nostra Repubblica, per semplificare, vuoi in senso semipresidenziale, vuoi in senso parlamentare alla tedesca. Con questa riforma si dice, in sostanza: intanto riduciamo il numero dei Parlamentari, poi vedremo. Riforma sulla fiducia insomma, o, per meglio dire, alla cieca.

Si potrebbe dire, chi si accontenta gode. Ma è questo che vogliamo, quello che serve alla nostra Repubblica malata, in tempi di becera approssimazione e di appiattimento di qualsiasi dibattito politico?

Il nano-referendum mi sembra nano non tanto per dimensioni ma per assoluta mancanza di prospettiva organica. Ancor peggio, prelude ad una legge elettorale puramente proporzionale e favorisce, visto l’attuale quadro politico, nella migliore delle ipotesi, il ritorno alla prima repubblica, abbandonando le velleità di un sistema bipolare o, nella peggiore, la precipitazione verso forme di democrazia protetta o, se si preferisce, mascherinizzata.

*giurista, direttore del portale giuridico Filodiritto.