Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
SUDAFRICA

Un impostore "per sordi" alla corte dei Grandi

Un semplice impostore è riuscito a infiltrarsi nella cerimonia dei funerali di Mandela per fare da finto interprete per sordomuti a tutti i grandi della terra. Come un Paolini qualunque. E se al suo posto ci fosse stato un terrorista? 

Esteri 13_12_2013
La finta traduzione

Nel grande show mediatico in mondovisione che ha accompagnato i funerali di Nelson «santosubito» Mandela tutti hanno potuto vedere, accanto ai vari leader mondiali che commemoravano davanti ai microfoni nello stadio, un distinto signore di colore (per forza: dalla supremazia bianca il Sudafrica è approdato a quella nera) che gesticolava a stretto contatto di gomito coi potenti della terra. Tutti gli udenti del mondo hanno pacificamente pensato che quel signore in giacca e cravatta fosse lì per farsi intendere dai sordomuti, e lo stesso hanno fatto i vari Obama, Castro e compagnia bella che si sono esibiti a lui vicini. Gli unici a non cascarci sono stati proprio i destinatari della pregevole attenzione, i sordi, o almeno quelli che il linguaggio dei gesti lo conoscono bene.

Infatti, molti di costoro hanno protestato perché quello lì gesticolava, sì, ma a vanvera. Cioè, fingeva di essere un interprete per non udenti, mentre in realtà faceva solo del mimo senza senso. Gratta gratta, si è scoperto trattarsi di un semplice mitomane, che, come il nostro Paolini, non ha trovato di meglio per piazzarsi in diretta e ritagliarsi anche lui il warholiano «quarto d’ora di celebrità». Oddìo, il suo è stato ben più di un quarto d’ora, visto che la cerimonia è andata avanti per un bel pezzo dato il numero di Vip presenti e con diritto di discorso.

Ora, non sappiamo cosa la legge sudafricana preveda per bravate del genere, ma il punto è un altro. Quasi tutti i potenti più potenti del mondo erano radunati lì, in un unico luogo, e sarebbe bastato che il «traduttore» fosse stato un kamikaze anziché un semplice impostore per riscrivere la storia del mondo. Non conosciamo l’entità e l’efficienza dei servizi di sicurezza sudafricani, ma è certo che Obama & C. non siano venuti insieme alle sole mogli. È pacifico che siano arrivati ben forniti di auto blindate, agenti superspecializzati, addestratissime guardie del corpo e quant’altro. Nemmeno il mega-aereo Air Force One della presidenza statunitense viaggia da solo. Tutta questa bella gente armata fino ai denti e in possesso dei più sofisticati mezzi di controllo e monitoraggio si è fatta beffare da un perfetto sconosciuto che è riuscito a sistemarsi sul podio principale, addirittura con al collo il «passi» regolamentare, e a starci a suo ludibrio per tutto il tempo che gli è piaciuto. E lì c’erano quasi tutti i Capi del pianeta, si può dire che mancassero solo Putin e il Papa. Vien da dire: in che mani siamo! E poi ci lamentiamo dell’Italia…

Per il resto, nell’universale cordoglio per il Caro Estinto è prevalso il parce sepultis, perché nessuno ha osato ricordare i tempi della lotta armata e dell’alleanza con i sovietici (lo ha fatto su queste colonne Robi Ronza), i quali, golosi dell’oro sudafricano ma anche del controllo della rotta delle superpetroliere troppo grandi per passare da Suez, soffiarono sul fuoco anti-apartheid (del quale, ovviamente, a loro non fregava nulla) per anni. Fuoco che era anche quello dei famigerati «necklaces» (copertoni messi al collo delle vittime legate e poi incendiati) con i quali si regolavano i conti (anche interetnici tra zulu e xhosa) negli anni della rivolta.