Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Federico di Utrecht a cura di Ermes Dovico

LA VITA E' SEMPLICE

Un cuore malato ma così grande

Rosa ha una malattia cardiaca, secondo i medici incompatibile     con la gravidanza. Ma l'amore di mamma supera la paura di morire.

Multimedia 17_03_2012
Paola Bonzi

Ore 11 di una mattina qualunque, del 2010, al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli.
Un continuo via vai nel corridoio dove risuonano anche voci di piccoli bimbi, un appuntamento segnato sull’agenda: Rosa e Mario.
Puntualissimi  bussano alla mia porta per sentirsi dire «Benvenuti».
Si siedono vicini sul divano e hanno un desiderio immediato di raccontare.

Sono addolorati ma non disperati: Rosa è stata visitata, hanno eseguito un’ecografia per datare la gravidanza, ed è scattato l’allarme.
«Mi fa un immenso piacere conoscerla perché ho un gran bisogno di parlare con qualcuno che voglia ascoltarmi e so che con lei lo potrò fare. Ho, infatti – mi comunica Rosa d’un fiato - una grave malformazione cardiaca; il mio cuore manca addirittura di una valvola e ciò mi impedisce una normale circolazione del sangue soprattutto all’inizio della gravidanza. La mia respirazione risulta seriamente compromessa; necessito immediatamente di un’operazione impegnativa e delicatissima. Ma sono incinta e, allora, i medici mi dicono che devo interrompere la gravidanza poiché, altrimenti, per me non ci sono possibilità di sopravvivere».

Pensavo che non ci saremmo più trovati di fronte al dilemma di una scelta così radicale e spaventosa, e invece …
Il cuore fisico di Rosa è insufficiente, ma quello dei sentimenti è largamente accogliente e, così, lei ascolta, sicuramente si spaventa, ma con fermezza risponde di volere assolutamente che il suo bambino nasca.
Quasi certamente i medici non si aspettavano una reazione così ferma e, quindi, per tentare di arginare la situazione, inizia una sequela di prescrizioni ferree: riposo assoluto, dieta leggera e, soprattutto, neanche uno scalino da salire.

«Per colmo di sventura - racconta Rosa - abito in un piccolo appartamento al sesto piano, di una casa senza ascensore! Per di più, spendo 650 euro al mese di affitto che riesco a pagare, appena, con il mio stipendio; ma, questi denari, verranno a mancare, se non posso continuare a lavorare per non affaticare il mio cuore».

Naturalmente non è assunta con regolare contratto e, quindi, non ci sarà nessun assegno di maternità. Che cosa fare? Restiamo tutti impauriti e sgomenti: l’aiuto economico, solitamente di 250 euro mensili per diciotto mesi, è decisamente insufficiente!
E non potremmo offrire una somma più ingente, visto che le situazioni da sostenere sono molte e, come si usa di solito in famiglia, si tenta di fare in modo che ciascuno abbia almeno l’indispensabile.
Rosa è determinata, ma si domanda con angoscia come fare e si aspetta da noi la soluzione ‘magica’.

Tormentata, telefono al mio presidente, ci consultiamo ed ecco … forse abbiamo trovato.

«Qualche tempo fa, il Comune di Milano ci ha assegnato un appartamento confiscato a un’organizzazione malavitosa. Ho appena verificato la sua ubicazione all’interno del palazzo, pensi che fortuna, si trova al piano rialzato! Potrebbe proprio essere adatto per voi, Rosa».
Rosa e Mario ne sono entusiasti e commossi e, probabilmente, si aspettano che si consegnino loro le chiavi della casa immediatamente.
Non può essere così, visto che l’appartamento è completamente da arredare, ma la nostra squadra si organizza: Matteo si mette alla ricerca dei mobili adatti e di tutto ciò che può servire, Michele e Gabriele trasportano, si coordinano e, in breve, la nuova casa è pronta.

Per Rosa ancora visite mediche che, per i sanitari, non lasciano alternative: l’unica cosa da fare per salvarla, è interrompere la gravidanza.
La coppia, invece, è ferma nella decisione di continuare, tanto che Rosa, forse un po’ ingenuamente, dice: «Uscirò dall’ospedale con il mio bambino in braccio».
Anche noi parliamo con i medici e sembra proprio che non vedano alternative.
Non volendo abortire, per la sopravvivenza del bambino, si dovrebbe arrivare almeno alla ventottesima settimana di gestazione, ma Rosa fa sempre più fatica a respirare.
Poi una specie di ‘summit’ e la decisione di inviarla in un altro ospedale dove esiste un famoso reparto di cardiologia. Durante questo nuovo ricovero, Rosa incontra altri medici e inizia nuove terapie che danno un nuovo segno di speranza.
Le comunicazioni telefoniche tra di noi si intrecciano frequentemente e, la settimana prima di Natale, ricevo finalmente una buona notizia: “Paola, potrò trascorrere le festività a casa, la nuova casa, che avete preparato per me e Mario!”

Un po’ di giorni, intanto, sono passati, e il tempo gioca a favore di quelle due vite.

Inizialmente sembrava, per Rosa, una necessità di fondi da recuperare ed è finita con la disponibilità di una nuova casa, certamente più adatta, arredata di tutto punto in breve tempo, dove potranno rimanere per il periodo necessario a rendersi autonomi; anche questo rinforza l’azione delle terapie: Rosa, infatti, passa intere settimane fuori dall’ospedale ritrovando le sue cose e i suoi affetti.

Con l’ecografia morfologica sappiamo che si tratta di una bambina, piccola piccola, ma in buona salute. A ogni controllo sembra che i tempi di gestazione si possano allungare; il rischio di vita per la nostra mamma coraggiosa  c’è sempre, e la situazione è continuamente monitorata.

Siamo tutti con lei e la speranza di riuscire a farcela diventa, di volta in volta, più concreta.
Contiamo i giorni, uno dopo l’altro, arriviamo alla ventottesima settimana di gravidanza, il traguardo per la sopravvivenza della bimba, ma passa anche questa scadenza e i medici decidono che si può andare avanti.
Rosa fa sempre un po’ più fatica a respirare, ma la sua forza d’animo le permette di trovare i diversi aggiustamenti necessari per insistere.
Arriva anche il mese di febbraio; la piccola sembra continuare a crescere dentro la sua mamma e ciò porta a ben sperare; si praticano le terapie perché quei piccoli polmoni possano funzionare quando si dovesse farla nascere.

«Sarà una primulina colorata» dicevo tra me pensando alla nostra ‘Giornata per la Vita’, la prima domenica del mese, ma riusciamo ad allungare ancora un po’ i tempi.
E’ il 19 febbraio e Rosa è chiamata a far nascere, necessariamente, sua figlia.
«Paola, è nata Eleonora! Pesa un chilo e duecento grammi, ma è sana e molto vitale. Sto andando a guardarla ogni momento e piango perché le si vedono tutte le ossicine…» mi dirà Rosa.
Ma Eleonora, nella sua incubatrice, cresce velocemente di peso e, in breve, i vari traguardi fisiologici vengono raggiunti.

Alla fine di marzo, tre o quattro giorni prima di Pasqua, Eleonora, arrivata ai due chili di peso, viene dimessa dall’ospedale e può andare a casa; Rosa sente di aver vinto la sua battaglia.
Le procuriamo tutto ciò che serve ed ecco che, un giorno, ricevo una telefonata da Mario: «Eleonora sta crescendo bene e vorremmo portargliela perché la possa prendere in braccio!»
E’ così che arrivano un giovedì mattina e mi mettono in braccio quel ‘fagottino’ ormai di tre chili.
Eleonora sbadiglia, fa dei versetti graziosi, distende le manine; è proprio una bella neonatina!
Rosa è felice anche se sa di dover affrontare un difficile intervento a cuore aperto; la data è molto prossima, e la fiducia nella vita incrollabile.

L’intervento è stato infatti molto impegnativo e complicato, durato parecchie ore, ha però ridato la funzionalità a questo cuore tanto provato.

Rosa ha poi dovuto praticare una riabilitazione che le permettesse di riprendere una vita normale.
Ora, sta affrontando il viaggio verso il suo paese di origine, per salutare la sua mamma, farsi vedere in buona salute, e presentarle Eleonora, la sua - e un po’ nostra - bimba speciale, nata per la capacità di vivere la Speranza.