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STORIE DI VITA

Un bel ricordo che vorremmo far rivivere

Qualche anno fa: Maria e Sergio, stranieri, rifugiati politici, in attesa di un figlio ma senza casa e senza mezzi. Allora gestivamo una palazzina con appartamentini e l'offerta di un alloggio allora salvò una vita.

Editoriali 22_03_2014
Incinta

Alcuni anni fa, eravamo riusciti a concretizzare una stupenda iniziativa di accoglienza alla coppia che avesse deciso di far nascere il proprio figlio. Si trattava di un’accoglienza “pilota” e lo sarebbe ancora se fosse andata avanti, visto che a tutt’oggi non esiste qualcosa di simile. Ma quei benedetti quattrini che non ci sono, hanno messo la parola “fine” e l’impresa resta un “sogno nel cassetto” che vorremmo tentare ancora di rendere realtà.

Gli appartamentini del “residence” erano dodici; avevamo pensato di riservarne uno per il lavoro degli operatori e per raccogliere materiale da utilizzare in seguito. Sono i soliti “conti senza l’oste” visto che rimase vuoto per non più di una settimana. Eravamo verso la metà di luglio, il solito luglio afoso e appiccicaticcio dell’estate milanese. Credo che il maggior desiderio di quel giorno fosse di arrivare a casa nel più breve tempo possibile per potersi infilare sotto una doccia appena tiepida. Oggi al CAV hanno installato i condizionatori, ma a quel tempo … Il nostro soffitto è costituito dal tetto dell’ospedale dove trovano posto i vari compressori che servono i reparti della clinica e, così, il caldo e il rumore fanno una combinazione vincente.

Siamo sempre stati attenti a non rimandare nessuna delle persone arrivate all’improvviso e, nel caso di Maria, sarebbe stato impossibile, visto che aveva prenotato l’intervento di interruzione della gravidanza per il giorno dopo. Maria non era sola: con lei c’erano il marito Sergio e un piccolo di circa tre anni. Lei e Pietro erano da poco arrivati in Italia mentre il marito era a Milano da un anno o poco più. Erano originari di una terra lontana dove la popolazione era stata invasa da truppe di altro stato; avevano perciò richiesto asilo politico in Italia.

Maria non conosceva la nostra lingua ma da come interveniva con Sergio, si capiva benissimo quanto fosse determinata ad interrompere la gravidanza. I motivi che venivano portati erano certamente la precarietà della loro situazione e in particolare la mancanza di alloggio. Sergio, fino a quel momento, era stato accolto in una comunità nella quale da qualche settimana viveva anche Maria con il piccolo Pietro. La disperazione, il senso di vergogna, la paura, aleggiavano nella mia stanza: che cosa si poteva fare e dire in quella situazione estrema?

Feci un velocissimo calcolo delle persone ancora presenti in sede; Francesco stava finendo la sua contabilità, aveva l’automobile parcheggiata lì vicino, ed io sapevo che c’era ancora un bilocale libero al residence. Dissi, allora: “E se noi potessimo offrirvi un’accoglienza?”

Avevo il cuore che faceva i salti mortali; si era fatto un gran silenzio che non osavo rompere. Sui visi dei miei interlocutori si era disegnata un’espressione di stupore che andava trasformandosi in incredulità. “Ma abbiamo già la prenotazione per l’intervento!” Mi sentii dire che la prenotazione si sarebbe sempre potuta disdire, ma, volevano venire a vedere quell’appartamentino di cui parlavo? Altro lungo momento di silenzio, uno sguardo tra loro, e poi: “Se c’è davvero, potremmo venire”.

Fu così che, in tutta fretta, chiamai Francesco, gli esposi la mia intenzione, raccattai la mia cartella e loro, e ci infilammo nel traffico. Pietro non era abituato ad andare in macchina e, quindi, si divertiva un mondo mentre noi cercavamo di riempire i silenzi con parole di circostanza. 

Finalmente piazza Firenze e il nostro residence. Un gran mazzo di chiavi per il cancello e il portone di ingresso, le scale per arrivare al secondo piano con qualche pianto di bimbo ed eccoci alla chiave dell’appartamento “Margherita”. “Margherita”, perché il nostro piccolo condominio era il “Residence dei Fiori” e ad ogni alloggio avevamo dato il nome di un fiore: quelli del primo piano finivano in E, quelli del secondo in A e quelli del terzo in O.

Tutto ciò derivava da una storia: per arredare e corredare quegli appartamenti, avevamo predisposto una specie di “tam-tam” e così arrivò la telefonata di una coppia di nonni che avevano atteso con gioia una nipotina non nata a causa di una patologia della gravidanza. Sapevano che sarebbe stata una bimba e che i suoi genitori l’avrebbero voluta chiamare Margherita. Così, annunciandoci un’offerta di dieci milioni delle vecchie lire, ci chiesero in cambio di dedicare questa casa a Margherita. Potevamo lasciare gli altri appartamenti anonimi?

Aperta la porta, Pietro che non capiva bene che cosa stesse succedendo, dopo un momento di perplessità, fece il giro dell’alloggio, tutto di corsa e per un paio di volte, per dire d’un fiato: “Bella la casa!” Inutile dire che Maria, con una grande luce negli occhi, annunciò la sua decisione di non abortire e che nel giro di due o tre giorni, si erano già installati al residence.

Sorridere alla vita!