Umiliati in Libia, la Caporetto della diplomazia italiana
Conte si è improvvisato grande mediatore nel conflitto in Libia. Senza coinvolgere la Farnesina. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il generale Haftar ha accettato l'invito a Roma, ma respinto la proposta di tregua. Sarraj, unico ufficialmente riconosciuto, ha declinato l'invito. Un'umiliazione così non si era mai vista nella nostra politica estera
Riuscite a trovare un solo Ministro degli esteri del passato, di qualunque partito, un solo Presidente del Consiglio del passato, di qualunque partito, capaci di fare e di farci fare a tutti noi italiani la figura di palta fatta mercoledì (e in questi giorni) nell’affaire Libia? Sono proprio convinto di no.
Abbiamo toccato il fondo. Conte e Di Maio hanno dimostrato un’incompetenza e un’incapacità tali da rendere l’Italia la barzelletta della comunità internazionale. Il risultato è che siamo ormai tagliati fuori da qualunque possibilità di gestione o cogestione della vicenda libica, cioè del Paese nel quale storicamente la nostra influenza era la più forte e la più riconosciuta. E nel quale abbiamo interessi colossali, energetici innanzitutto attraverso lo splendido lavoro fatto specie da Eni in questi decenni, ma anche imprenditoriali e industriali, attraverso la presenza di centinaia di coraggiosi imprenditori piccoli e grandi.
Diciamo la verità, la politica internazionale, non da oggi, è una delle materie più difficili e complicate da trattare, soprattutto nello scacchiere probabilmente più intricato al mondo che è il Medioriente e la costa sud del Mediterraneo. Ma quando l’Italia contava, il ministro degli Esteri è sempre stato scelto con grande attenzione tra gli uomini politici più competenti e dotati di esperienza e di rapporti. E a dire il vero ancor più il Presidente del Consiglio veniva scelto secondo questi criteri. Conte e Di Maio non hanno certamente queste caratteristiche, ma in più sono anche provvisti di una dose non indifferente di presunzione e alta considerazione di sè. Soprattutto Conte, e questa volta il pasticcio in cui ci ha cacciati è anzitutto responsabilità sua. Convinto di potersi guadagnare una reputazione di prestigio internazionale, si è inventato il ruolo di grande mediatore per cui non ha alcuna preparazione. Ha spedito Di Maio in un tour improvvisato tra le capitali del Nordafrica, così da toglierlo di mezzo e non averlo tra i piedi nel momento del suo presunto grande trionfo. E poi ha manovrato con i servizi segreti di cui ha tenuto la delega, per organizzare in un giorno solo a Roma l’incontro con i due uomini che in Libia si stanno prendendo a cannonate ad ogni ora sul terreno. E per fare questo ha tagliato fuori la diplomazia della Farnesina, molto più esperta e qualificata dei suoi 007, che probabilmente gli avrebbe spiegato i rischi e le insidie presenti in quello che aveva in animo di fare.
Il risultato catastrofico è sotto gli occhi di tutti: il primo invitato, il generale Haftar, si è presentato a Roma e ha parlato con Conte, ma ha detto di no al piano di tregua di una settimana propostogli dal nostro Presidente del Consiglio. Il secondo, che fra l’altro per protocollo andava invitato per primo in quanto capo dell’unico governo libico riconosciuto dall’Onu, il presidente Al Sarraj, offeso per questo sgarbo e messo in allarme da voci che volevano Conte intenzionato a farlo incontrare col rivale, ha preferito eclissarsi senza nemmeno farsi vedere a Roma, dove la sua presenza era stata annunciata in pompa magna. Una vicenda da sprofondarsi per la vergogna, che ha provocato risultati opposti a quelli desiderati: l’Italia appare oggi comunque più vicina ad Haftar che non ad Al Sarraj come era fino a ieri, ma soprattutto si è mangiata la possibilità di interloquire alla pari con i due contendenti. E c’è anche la beffa che la tregua di una settimana è stata concordata giovedì dai due rivali dietro la pressione di Russia e Turchia, diventate ormai le presenze internazionali forti in Libia.
Per domani Conte ha indetto una riunione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, comprese le opposizioni, per un esame congiunto della situazione. La decisione era ottima in sè, ma il timore è che dopo uno smacco simile, l’incontro sia rinviato sine die, o che si areni nelle prevedibilissime polemiche tra un Conte intenzionato a parlare di ‘un bicchiere comunque mezzo pieno’ e il parere giustificatamente opposto delle opposizioni. Si rischia la farsa dopo la catastrofe.