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il caso

UK contro Meta: la privacy batte i giganti del tech

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L'attivista Tanya O'Carroll vince la battaglia legale contro Meta: aveva intentato causa contro il colosso tecnologico rifiutando che i propri dati personali venissero utilizzati per il targeting pubblicitario. La sconfitta di Meta segna un punto importante per i sostenitori della privacy digitale.

Attualità 26_03_2025

In una sentenza storica, il Regno Unito ha dato ragione all'attivista Tanya O'Carroll nella sua battaglia legale contro Meta. O'Carroll aveva intentato causa contro il colosso tecnologico rifiutando che i propri dati personali venissero utilizzati per il targeting pubblicitario, una pratica che l'attivista ha equiparato a una forma di sorveglianza digitale.

Meta si è difesa sostenendo che il suo sistema pubblicitario non prende di mira singoli individui ma gruppi specifici. Tuttavia, la corte britannica ha sollevato un interrogativo cruciale: quando un targeting così preciso e sofisticato diventa, nei fatti, individuale? La linea di demarcazione appare sempre più sfumata nell'era dei big data e degli algoritmi avanzati.

I dettagli della vittoria legale. La recente conclusione del caso rivela che O'Carroll è riuscita a costringere Meta a non utilizzare i suoi dati per la pubblicità mirata. Questo accordo è contenuto in un settlement che pone fine all'azione legale individuale che aveva avviato nel 2022 contro il tracciamento e la profilazione operati da Meta.

L'attivista aveva sostenuto che il diritto legale di opporsi all'uso dei dati personali per il marketing diretto, contenuto nella legge sulla protezione dei dati del Regno Unito (e dell'UE), insieme al diritto incondizionato che i dati personali non vengano più elaborati per tale scopo se l'utente si oppone, obbligava Meta a rispettare la sua obiezione. Meta aveva respinto questa interpretazione, sostenendo che i suoi "annunci personalizzati" non costituissero marketing diretto. Il caso avrebbe dovuto essere esaminato dall'Alta Corte inglese lunedì, ma l'accordo ha posto fine all'azione legale.

Per O'Carroll si tratta di una vittoria individuale: Meta deve smettere di utilizzare i suoi dati per il targeting pubblicitario quando utilizza i suoi servizi. L'attivista ritiene inoltre che l'accordo stabilisca un precedente che dovrebbe consentire ad altri di esercitare con fiducia lo stesso diritto di opposizione. Come ha spiegato a TechCrunch, O'Carroll ha avuto poca scelta se non accettare l'accordo una volta che Meta ha accettato ciò che la sua azione legale stava chiedendo. «È una vittoria agrodolce - ha dichiarato - ho dimostrato che il diritto di opposizione esiste e che si applica esattamente al modello di business di Meta e di molte altre aziende su internet, ovvero che quella che loro intendono come pubblicità mirata altro non è che, in effetti, marketing diretto."

Implicazioni più ampie. Sebbene l'UE abbia da tempo protezioni legali complete per le informazioni personali, come il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) - la legge su cui si basava la sfida legale di O'Carroll - l'applicazione di queste leggi sulla privacy contro i modelli di business pubblicitari basati su quella che impropriamente è chiamata “sorveglianza” si è rivelata un'impresa lunga e improficua.

Dal maggio 2018 Meta ha accumulato numerose multe per aver “frainteso” il GDPR, e il suo modello di business basato su targeting non consensuale si è dimostrato molto difficile da modificare, tant’è che sembra sia più comodo per la Big Tech proseguire in questa direzione, pagando multe su multe, piuttosto che ripensare integralmente il proprio modello di business multimiliardario.  «La cosa che mi dà speranza è che l'ICO [Information Commissioner's Office del Regno Unito] è intervenuto sul caso e si è schierato molto chiaramente - e in modo incredibilmente convincente e persuasivo - dalla mia parte» ha aggiunto la O'Carroll, suggerendo che altri utenti di Meta potrebbero adottare le medesime misure per opporsi al trattamento dei loro dati.

La sconfitta di Meta segna un punto importante per i sostenitori della privacy digitale. "Privacy 1, Big Tech 0" potrebbero titolare i progressisti, ma la questione è ben più complessa.

Chi utilizza i social network dovrebbe essere consapevole delle regole del gioco e di ciò che cede in cambio di servizi gratuiti. D'altra parte, questa decisione del Regno Unito può essere interpretata come l'ennesima ingerenza di uno stato sovrano negli affari di un'azienda tecnologica statunitense. Il paradosso emerge chiaramente: le multinazionali tech operano con una sorta di sovranismo aziendale che le rende entità "intranazionali", trascendendo i confini geografici ma scontrandosi con le legislazioni nazionali che tentano di regolamentarle.

Questa sentenza rappresenta solo l'ultimo capitolo di una tensione crescente tra la sovranità degli stati e il potere delle piattaforme digitali globali, una sfida che definirà il futuro della governance digitale e i diritti degli utenti nel mondo interconnesso.