Ucraina: tra guerra di nervi e guerra del gas
Sullo sfondo della crisi appare sempre più evidente come l’obiettivo strategico degli USA di scavare un profondo fossato tra l’Unione Europea e la Russia giochi soprattutto sull’arma energetica. Non a caso gli allarmi lanciati da Washington per l’imminente invasione russa dell’Ucraina hanno preso il via due mesi dopo il completamento del nuovo gasdotto North Stream 2.
Nelle ultime ore la crisi ucraina ha subito una nuova escalation. Il ministero della Difesa russo ha annunciato la fine delle esercitazioni in Crimea e Bielorussia e il ritiro o il rientro in caserma di molti reparti: gli anglo-americani hanno però negato che vi siano segni evidenti di tale ritiro rinnovando anzi gli annunci di un imminente attacco russo.
Il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace ha dichiarato che "sino a quando non vedremo un'adeguata riduzione dell'escalation, dovremmo essere tutti cauti. L'ultimo report dell’intelligence mostra che il 60 per cento della potenza di combattimento terrestre russa rimane al confine ucraino insieme a una significativa flottiglia di navi in mare aperto", ha affermato Wallace.
Per il primo ministro Boris Johnson ”la Russia sta pianificando la più grande guerra in Europa dal 1945" mentre il ministro degli Esteri, Liz Truss ha affermato che "Putin non si fermerà in Ucraina, vuole riportare indietro l'orologio alla metà degli anni '90. Gli stati baltici potrebbero essere il prossimo obiettivo".
Se le dichiarazioni che giungono da Londra appaiono sopra le righe a Washington continuano da mesi ad annunciare per imminente l’invasione russa. Il presidente Joe Biden ha continuato ad ammonire che se la Russia invaderà l'Ucraina nei prossimi giorni o settimane "sarà accolta con una schiacciante condanna internazionale".
C'è il rischio "molto alto" di un'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel giro di "alcuni giorni" ha detto Biden mentre il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha ribadito che "la Russia intende inventare un pretesto, non sappiamo esattamente che forma assumerà. Noi crediamo che tra gli obiettivi dell'attacco russo vi sia anche Kiev, la capitale ucraina con 2,8 milioni di abitanti. Un dettagliato piano d'attacco con i tank e i soldati che avanzeranno contro obiettivi che sono stati già identificati":
I russi si sono limitati a definire gli scenari militari proposti da Blinken "deplorevoli e pericolosi", ha detto il vice ministro degli Esteri russo Sergei Vershinin. Vero è che negli ultimi giorni bombardamenti e provocazioni sono ripresi da entrambe le parti sul fronte del Donbass dove separatisti filo-russi e forze di Kiev si accusano reciprocamente.
Pur nell’inevitabile gioco dell’escalation progressiva da “nuova guerra fredda” a cui né la NATO né i russi si sottraggono le pur consistenti truppe russe sono schierate in territorio russo, tra il confine ucraino e 300 chilometri all’interno.
Un dettaglio non secondario tenuto conto che Mosca si trova a 500 chilometri dal confine, che migliaia di militari americani ed europei sono schierati (e altri ne stanno affluendo) presso Repubbliche Baltiche, Polonia, Romania o Bulgaria con mezzi terrestri e aerei da combattimento e che centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici, canadesi e polacchi sono oggi al fianco dell’esercito di Kiev, che non fa parte della NATO ma riceve consistenti aiuti militari dall’Occidente.
Del resto invadere l’Ucraina, nazione di 44 milioni di abitanti dei quali un quarto con cittadinanza anche russa, avrebbe costi finanziari e politici proibitivi per Mosca, per non parlare delle perdite militari e dei successivi costi d’occupazione.
La popolazione ucraina è forse la più povera d’Europa e Mosca dovrebbe farsene carico invadendo una nazione le cui risorse minerarie non sono strategiche per la Russia, la cui industria pesante obsoleta è totalmente da ristrutturare e che andrebbe presidiata da centinaia di migliaia di militari e poliziotti una volta invasa.
I costi militari e finanziari dell’invasione, la prolungata occupazione dell’Ucraina e le sanzioni internazionali che verrebbero imposte dalla comunità internazionale e il blocco definitivo dell’export di gas in Europa non sono compatibili con la strategia e gli interessi di Mosca né con le sue risorse economiche.
Mosca però non può accettare che la NATO si espanda ad est fino ai confini russi, minacciando inoltre di inglobare due nazioni ex sovietiche come Ucraina (dove il presidente Volodymyr Zelensky ha definito l'adesione alla NATO “una garanzia di sicurezza”) e Georgia così come contesta le basi missilistiche americane in Polonia e Romania che dovrebbero difendere l’Europa dalla minaccia dei missili balistici iraniani ma che in realtà impiegano lanciatori verticali in grado di ospitare missili da crociera capaci di raggiungere Mosca in pochi minuti di volo.
L’opzione bellica forse più credibile resta quella legata al rischio di un attacco ucraino che, con l’aiuto della NATO, cercasse di riconquistare le province ribelli del Donbass. La risposta di Mosca sarebbe inevitabile anche se è improbabile che Kiev offra a Mosca un pretesto per ampliare i territori in mano ai ribelli filo-russi.
Sullo sfondo della crisi appare sempre più evidente come l’obiettivo strategico degli USA di scavare un profondo fossato tra l’Unione Europea e la Russia giochi soprattutto sull’arma energetica, fin dalla crisi ucraina del 2014, quando Barack Obama venne in Europa esortando gli alleati a non acquistare più il gas russo ma a rifornirsi dagli Stati Uniti.
Non a caso gli allarmi lanciati da Washington per l’imminente invasione russa dell’Ucraina abbiano preso il via nel dicembre scorso, due mesi dopo il completamento del nuovo gasdotto North Stream 2 che consentirà di raddoppiare le importazioni energetiche dalla Russia e che consente al gas di arrivare direttamente in Germania (e da lì in Europa) attraversando il fondale del Mar Baltico, senza attraversare Ucraina e Polonia.
Lungo 1.200 chilometri, il North Stream 2 è costato 10 miliardi di euro e segue lo stesso percorso del North Stream 1, completato più di dieci anni fa e come il suo predecessore è in grado di veicolare 55 miliardi di metri cubi di gas all'anno.
La gran parte delle pressioni esercitate dagli Stati Uniti su Berlino tendono a impedire l’attivazione del gasdotto. Meglio ricordare anche che nel 2014 furono proprio le pressioni di Washington sulla Bulgaria a fermare il completamento di un altro importante gasdotto, il South Stream, destinato a portare il gas russo direttamente in Europa attraversando il fondale del Mar Nero fino alla Bulgaria, da dove si sarebbe ramificato in due diverse direzioni: a nord verso Ungheria e Austria e a ovest attraverso la Grecia fino a raggiungere la Puglia.
L’Europa, pur se alleata militare degli USA nell’ambito della NATO, è al tempo stesso il più temibile concorrente economico degli USA: ancor più della Cina considerato che la Ue vanta il PIL più alto del mondo. Per questa ragione interrompere o rendere più precari i rapporti energetici tra Russia ed Europa rappresenta un duplice vantaggio per gli USA con la riduzione dell’export energetico russo (che rappresenta oggi il 60 per cento delle esportazioni di Mosca e finanzia il 40 per cento del bilancio dello Stato) e con l’indebolimento delle economie europee che dipendono in media per il 40 per cento dal gas russo e che oggi devono fronteggiare costi energetici proibitivi per famiglie e aziende.
Il risultato è che i prodotti europei avranno costi più alti e saranno quindi meno competitivi mentre tutte le alternative al gas russo, incluso un maggior ricorso al gas di Medio Oriente e Nord Africa o al costosissimo gas liquido americano portato in Europa dalle metaniere, non sono certo un buon affare per gli europei.
Gli approvvigionamenti da Qatar, USA o Norvegia non sarebbero comunque in grado di rimpiazzare il gas russo e inoltre tali commesse vanno pagate in dollari mentre quelle dalla Russia vengono saldate in euro.
Dopo la crisi ucraina del 2014 gli Stati Uniti hanno incrementato l’export di gas in Europa fino a 22 miliardi di metri cubi nel 2021, il doppio rispetto al 2019 ma ben lontano dai 180 miliardi di metri cubi forniti dalla Russia. Per queste ragioni appare fuori luogo il messaggio ottimistico lanciato nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. "Abbiamo parlato con altri fornitori affidabili di gas, soprattutto Gnl (Gas naturale liquefatto), come Stati Uniti, Qatar, Egitto, Azerbaigian, Nigeria per incrementare la loro fornitura all'Unione europea” ha dichiarato il 16 febbraio.
“Abbiamo parlato anche ai grandi acquirenti di Gnl per chiedere se possono trasferire dei contratti a favore dell'Unione. La scorsa settimana ho parlato con il primo ministro della Corea del Sud e questa mattina ho parlato con il premier del Giappone che è deciso a trasferire i contratti a favore dell'Ue, in modo che i fornitori, come ad esempio il Qatar, possano dirottare le loro consegne in eccesso, previste inizialmente per il Giappone, verso l'Unione europea. Questi sforzi stanno ora dando i frutti. Vediamo ad esempio che a gennaio l'Unione europea ha avuto consegne record di Gnl: 120 navi che equivalgono circa a 10 miliardi di metri cubi di gas", ha concluso la presidente.
I costi per la Ue sono però ben più alti con il gas liquefatto e gli approvvigionamenti via nave più instabili, con il risultato di indebolire l’economia e la sicurezza europea.