Ucraina, Medio Oriente e Cina: tre scenari per tre conflitti
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Per valutare come Trump affronterà le tre grandi crisi internazionali (Ucraina, Medio Oriente e Cina) occorre rifarsi alle sue dichiarazioni, che preludono ad atteggiamenti diversi: interrompere le ostilità a Kiev lascerà un conto salato per l'Europa. Con Israele sostegno pieno e in Cina un occhio al portafogli per evitare lo scontro su Taiwan.
Per valutare come Trump affronterà le tre grandi crisi politiche e militari internazionali (Ucraina, Medio Oriente e Cina/Taiwan) occorre rifarsi alle dichiarazioni del presidente e a quanto fatto nel suo primo mandato tenendo presente che la contingenza potrebbe mutare l’approccio enunciato in campagna elettorale.
In Ucraina Trump ha sempre sostenuto che interromperà il conflitto in breve tempo e una bozza del suo piano di pace è stata affidata da tempo al premier ungherese Viktor Orban che l’ha promossa a Kiev, Mosca, Ankara e Pechino incassando la quasi generale riprovazione dell’Unione Europea.
Non a caso ieri Orban ha detto che la vittoria dei repubblicani e di Donald Trump negli Stati Uniti significano che sarà necessaria una nuova strategia europea nei confronti dell'Ucraina. Secondo Orban, dopo il voto negli USA l'Europa da sola difficilmente sarà in grado di mantenere il sostegno militare e finanziario all'Ucraina. «Ci sono seri dubbi su questo tema, ed è per questo che sarà necessaria una nuova strategia europea».
Orban è il leader europeo più vicino a Trump e il più lontano dalle politiche della Commissione Ue rispetto a diversi temi inclusa l’Ucraina. Un motivo in più per temere l’approccio di Trump all’Europa e soprattutto alla UE che potrebbe rivelarsi più incline a puntare su relazioni bilaterali con i singoli stati. Meglio comunque non farsi illusioni. Nessun presidente USA curerà mai gli interessi dell’Europa, come ha dimostrato negli ultimi 15 anni il ruolo di Washington, e soprattutto delle amministrazioni del Partito Democratico, nella destabilizzazione di Nord Africa, Medio Oriente e Ucraina.
Trump punta a negoziare la fine del conflitto in Ucraina soprattutto perché non intende investire altro denaro americano nella guerra e del resto non ha nascosto in più occasioni la scarsa considerazione (eufemismo) nei confronti di Volodymyr Zelensky (che si è complimentato ieri con il neo-presidente) a cui ha ricordato persino i suoi ottimi rapporti con Vladimir Putin.
In che tempi e con quali termini proporrà la fine delle ostilità in Ucraina lo vedremo dopo l’insediamento alla Casa Bianca, dove Trump entrerà il 20 gennaio 2025 salvo sorprese: non è detto che i tentativi di assassinarlo cessino dopo il voto. Però è presumibile che i russi sfrutteranno i prossimi due mesi e mezzo per accelerare il più possibile la loro avanzata in Donbass cercando di provocare il tracollo delle forze di Kiev.
Durante il suo primo mandato Trump ha rafforzato l’apparato militare statunitense, ma non ha scatenato guerre, anzi ha trattato con i Talebani il disimpegno dall’Afghanistan e aveva aperto le trattative con il presidente nordcoreano Kim Jong Un. In ogni caso è immaginabile che Trump lascerà agli europei il conto salato del dopoguerra, della ricostruzione dell’Ucraina e il costo economico e militare della gestione dei rapporti post-bellici con la Russia.
Nella nota visione di Trump, la NATO è utile solo se gli europei pagano per mantenere la protezione dell’ombrello nucleare statunitense, con nuove spese militari tese per lo più ad acquistare armamenti “made in USA”. Da uomo d’affari guarderà presumibilmente più a incassare buoni affari che a lanciarsi in guerre costose in termini finanziari e di vite umane.
In Medio Oriente, Trump ha promesso il massimo supporto a Benjamin Netanyahu (i due si sono sentiti ieri), sempre più in difficoltà sul fronte interno come sui fronti bellici, sostenendo Israele come o più di dell’Amministrazione Biden che in un anno di guerra ha fornito a Israele quasi 9 miliardi di dollari di aiuti militari extra.
Il presidente israeliano Isaac Herzog ha scritto sui social che «Trump è un vero e caro amico di Israele e un campione di pace e cooperazione nella nostra regione». Il neo-ministro della Difesa Israel Katz, ha detto che con Trump «riporteremo indietro gli ostaggi» «e resteremo fermi per sconfiggere l'asse del male guidato dall'Iran». Secondo la Reuters, un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha sfidato Triump esortandolo a «imparare dagli errori di Biden».
Nonostante l’ostilità nei confronti dell’Iran, con cui interruppe gli accordi sul programma nucleare di Teheran, è probabile che Trump cerchi di trovare una soluzione alla crisi in Medio Oriente che rinnovi gli accordi di Abramo tra le monarchie arabe del Golfo e Israele e renda più gestibili i rapporti con l’Iran anche per scongiurare una guerra che per gli USA avrebbe alti costi. Pur senza volersi spingere troppo avanti, le buone relazioni tra Trump e Putin, se verranno confermate da un accordo per cessare le ostilità in Ucraina, potrebbero determinare una soluzione anche in Medio Oriente considerando la sempre più forte influenza di Mosca sull’Iran e le fortissime relazioni militari bilaterali.
Indipendentemente dal colore delle sue amministrazioni, Washington considera la Cina il principale rivale in termini economici, strategici e militari. Questo approccio difficilmente potrà cambiare con Trump, poiché il Pacifico testa l’area di maggiore crescita mondiale, ma The Donald potrebbe puntare più su accordi commerciali con Pechino che su un braccio di ferro militare intorno a Taiwan.
Anche grazie agli errori bellici e politici dell’Amministrazione Biden, la competizione che gli USA dovranno affrontare non è più solo con Pechino ma con la sempre più vasta area BRICS, che punta a ridurre l’impiego del dollaro nelle transazioni commerciali.
Trump del resto considera Taiwan un pericoloso rivale commerciale in alcuni settori industriali (ad esempio la produzione di microchip) anche se ieri il direttore generale dell'ufficio per la sicurezza nazionale di Taipei, Tsai Ming-yen, si è detto convinto che gli Stati Uniti continueranno a tenere una «postura amichevole» e a limitare le pretese della Cina nello Stretto.