«Ucraina, invasione non guerra civile»
L'arcivescovo della Chiesa ucraina greco-cattolica «corregge» il Papa, le cui parole sono state lette nel suo Paese come appoggio alla propaganda russa. «Putin difensore dei valori cristiani? Non siamo ingenui, se ne serve solo per scopi politici».
«Anche le parole possono far male. Per questo ho avvertito il Papa che alcune affermazioni della Santa Sede possono essere associate alla propaganda russa». Così l’arcivescovo maggiore della Chiesa ucraina greco-cattolica, Svjatolslav Shevchuk, nel corso di una conferenza stampa che ha avuto luogo questa mattina nella sede di Radio Vaticana.
A Roma per la visita ad limina dei vescovi ucraini di rito latino e bizantino, Shevchuk ha raccontato l’incontro con il pontefice e la drammatica situazione nel suo paese. «Per descrivere quanto accade in Ucraina - ha detto in apertura il presule – non si può che usare una sola parola: guerra, una guerra imposta, un’invasione straniera e non un conflitto civile».
Non è un caso che il capo della Chiesa greco-cattolica abbia deciso di ribadire questa affermazione pronunciata già il 20 febbraio nel suo discorso al Papa. È chiaro il riferimento all’espressione «guerra fratricida» con cui Bergoglio ha definito la crisi ucraina, considerandola alla stregua di un conflitto civile e non – come ritiene Shevchuk – «l’aggressione condotta da un paese vicino». Le parole che Francesco ha aggiunto parlando a braccio durante l’udienza del 4 febbraio, hanno ferito i vescovi ucraini che già lamentavano la mancanza di una netta presa di posizione ai danni di Putin, come invece accaduto nei confronti di Obama in occasione dell’eventualità di un attacco in Siria nel settembre 2013.
La definizione «guerra fratricida», ha spiegato Shevchuk in conferenza stampa, ha ferito la sensibilità del popolo ucraino per il quale la frase riflette i toni della «propaganda russa». Per questo il presule ha voluto sottoporre la questione al Papa. «Ho spiegato personalmente al Santo Padre quali sono le vittime e quali gli aggressori», ha aggiunto l’arcivescovo maggiore attribuendo tuttavia alla scelta lessicale del Papa il fine ultimo di «mediare la pace» con Mosca.
L’arcivescovo maggiore Shevchuk ha conosciuto Bergoglio in Argentina, quando era vescovo ausiliare dell’eparchia di Santa María del Patrocinio a Buenos Aires. «È un uomo di azioni più che di parole – ha detto – e la nostra speranza è che nel prossimo futuro noi possiamo essere testimoni di questa azione». Non è l’unico auspicio ad un ruolo più incisivo del Vaticano di Shevchuk, che ha anche invitato il Papa a visitare l’Ucraina, «quando i tempi saranno opportuni». «La Santa Sede non dispone di armi, ma siamo certi che userà tutto ciò che è in suo potere per difendere i figli dell’Ucraina». Shevchuk ritiene inoltre che un’eventuale lettera del Papa ai due capi di Stato potrebbe sortire degli effetti positivi, specie perché «Putin considera Francesco un’autorità».
In attesa di futuri sviluppi, i vescovi ucraini tornano a casa consapevoli di essere stati «capiti, accolti e incoraggiati» dal pontefice. «Non sappiamo cosa succederà, ma sappiamo che il Santo Padre si farà portavoce del dolore del popolo ucraino».
Durante la settimana di visita ad limina, il Papa ha ascoltato i drammatici racconti dei vescovi, chiedendo di parlare per primi ai presuli della Crimea e delle regioni occupate. Lì la situazione è drammatica anche sotto il profilo della libertà religiosa. «I tatari fuggono dalla Crimea – afferma Shevchuk – mentre a Donetsk gli ebrei sono costretti a registrarsi come succedeva ai tempi delle deportazioni naziste». Anche alle cinque parrocchie greco-cattoliche di Crimea è stata richiesta una nuova registrazione, che però è stata rifiutata per ben tre volte dalle autorità locali.
«Il nostro timore è che si tratti di un espediente per privare la nostra Chiesa di uno status legale, come avvenuto nel 1946 sotto il regime sovietico». Impressionanti anche i numeri legati all’assistenza prestata dalla Chiesa ucraina, divenuta concretamente un «ospedale da campo». I centri di Caritas Ucraina accolgono ogni giorno circa 140mila persone. «Cerchiamo di trasformare il dolore in azione, ma i nostri sforzi non sono sufficienti. Ecco perché mi sono rivolto a Francesco, affinché invochi un’azione umanitaria internazionale».
Schevchuk ha parlato apertamente dei rapporti con il Patriarcato di Mosca senza tentare in alcun modo di smorzare i toni. «È difficile collaborare con dei pastori incapaci di rispettare i loro fedeli. Una gerarchia ecclesiastica che si schiera con il potere e contro il proprio popolo perde di credibilità». Il capo della Chiesa greco-cattolica ha riferito l’angoscia e lo sgomento degli ortodossi ucraini legati al patriarcato moscovita, i quali non comprendono come il «proprio patriarca possa essere diventato il portavoce dell’aggressore». Per Shevchuk la Chiesa ortodossa russa è divenuta una potente arma di disinformazione, che danneggia gli stessi cittadini della Federazione. «Molti russi non sanno che i loro soldati rimangono uccisi. Anche per loro è necessario spezzare questa catena di menzogne».
A suo avviso, parte di questa “catena” è anche l’immagine di Putin quale difensore dei diritti cristiani costruita dalla propaganda russa. «Sono un figlio della Chiesa perseguitata dall’Unione Sovietica – ha detto il presule quarantacinquenne – e so bene che il KGB non ha mai diffuso i valori cristiani, ma se ne è servito per scopi politici. Io non credo che chi sacrifica un milione di vite per raggiungere obietivi geopolitici sia animato da valori cristiani. Non siamo ingenui».