Ucraina, i rischi di una guerra "povera"
Le magre figure rimediate dalle forze ucraine nella offensiva contro le milizie filo-russe, lasciano intendere che per Kiev il ripristino del controllo è lontano. Mancano i fondi, ma anche chi è disposto a morire per l'unità nazionale.
Le magre figure rimediate dalle forze ucraine nella cosiddetta “campagna contro i terroristi”, termine attribuito ai secessionisti del sud est, sollevano molti dubbi circa la possibilità che il governo di Kiev possa ristabilire in tempi rapidi il suo controllo sull’intero territorio nazionale.
Difficile che con un esercito così raffazzonato gli ucraini possano stabilizzare la situazione in un’area d’interesse strategico per l’Europa raggiungendo un accordo stabile con Mosca. L’abbattimento del velivolo cargo Ilyushin IL-76 con la morte di 49 militari tra equipaggio e membri delle unità aviotrasportate protagoniste dell’offensiva nel Donbass conferma che le forze aeree continuano a muovere aerei ed elicotteri nei pressi del fronte senza impiegare o disporre di sistemi di difesa contro i missili a ricerca di calore. I successi conseguiti dai missili portatili SA-16 e Sa-18 utilizzati dalle Forze di autodifesa dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk e provenienti con ogni probabilità dai reparti dell’esercito ucraino che hanno defezionato passando con i filorussi rischiano di scoraggiare i piloti dall’alzarsi in volo.
Dall’inizio del conflitto le forze aeree di Kiev hanno perduto almeno dieci velivoli colpiti da missili portatili, 7 elicotteri e 3 aerei da trasporto. Sul campo di battaglia, dove i caduti sui due fronti potrebbero essere già oltre un migliaio, le cose non vanno molto meglio. Le truppe di Kiev stanno riprendendo il controllo dei valichi di frontiera con la Russia, hanno circondato le città ribelli ma non riescono ad occuparle. I rapporti riferiscono di una linea di comando e controllo quasi inesistente, sembrano mancare piani ad ampio respiro e ogni comandante si muove autonomamente senza coordinamento tra i vari settori. In due mesi i governativi hanno ripreso il controllo solo di alcuni villaggi e di un paio di aeroporti, questi ultimi in modo precario considerata la minaccia persistente dei missili antiaerei dei ribelli.
Gli insuccessi dei governativi hanno molte spiegazioni. Da un lato l’Ucraina ha sempre investito poche risorse nelle forze armate, appena sufficienti a pagare gli stipendi e non certo a garantire addestramento e mezzi adeguati. Il sistema di leva obbligatoria è stato in vigore fino all’anno scorso contribuendo a ridurre i fondi per addestrare forze professionali ed è stato recentemente ripristinato dal governo ad interim nato dalla rivolta del Maidan. In questo modo Kiev può contare su molte reclute inesperte che non potrà addestrare per mancanza di fondi, non su veri combattenti. Un rapporto del marzo scorso confermava che solo il 15 per cento dei mezzi e il 10 per cento dei reparti delle forze armate erano pronti al combattimento. Se a questo aggiungiamo che molti reparti sono passati con i filo-russi o si sono rifiutati di combattere contro altri ucraini, il quadro delle condizioni militari delle forze di Kiev si fa più chiaro. Dietro lo sbandieramento di vessilli giallo-azzurri e le dichiarazioni patriottiche l’Ucraina è un Paese spaccato in due e tra i fans di Kiev non sembra siano poi molti quelli pronti a combattere e a morire per l’unità nazionale.
Come spesso accade negli Stati in cui le forze militari regolari sono troppo deboli o collassano di fronte al nemico (l’Iraq di questi giorni ne è un altro esempio), lo Stato mobilita paramilitari e milizie popolari quasi sempre a carattere politico o religioso con il rischio di trasformare un conflitto in una guerra civile. Non a caso in Ucraina la neocostituita Guardia Nazionale è composta per lo più dai militanti dei partiti neonazisti Svoboda e Pravji Sektor, più adatti a compiere operazioni di rappresaglia sui civili che a combattere in prima linea.
Le carenze finanziarie e di pianificazione (che evidenziano anche gravi inettitudini tra i comandanti militari) sono particolarmente evidenti nella totale assenza di supporto logistico in appoggio alle truppe al fronte. Washington, che ha offerto pacchetti addestrativi all’esercito di Kiev, ha inviato 300 mila razioni a lunga conservazione per fornire cibo ai soldati ucraini. Lo Stato non è in grado di sostenere con cibo, vestiario ed equipaggiamenti neppure i soldati regolari, figuriamoci le formazioni della Guardia Nazionale.
Il governo di Kiev ha avviato forme di sottoscrizione per finanziare la Difesa che ricordano le campagne “oro per la Patria”, mentre sono nate associazioni patriottiche che raccolgono da privati cittadini denaro, capi di vestiario e altri generi di prima necessità da inviare ai reparti in prima linea che necessitano di tutto con l’esclusione di armi leggere e munizioni, presenti in grandi quantità negli arsenali ex sovietici. Quella nell’est è quindi una guerra povera pur se sanguinosa, condotta da dilettanti contro un nemico che schiera altri dilettanti ma anche professionisti ben preparati provenienti in parte dalla Federazione Russa. In questo contesto il rischio più concreto è che la guerra si trascini a lungo, senza vincitori né vinti, alimentando caos e destabilizzazione nell’area attraversata dai gasdotti così vitali per l’Europa.