Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Bruno a cura di Ermes Dovico
IL CONFLITTO

Ucraina al palo: la crisi del grano svela l'abbandono occidentale

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il clima di crescente sfiducia tra Ucraina ed Occidente emerso a partire dal vertice NATO di luglio è acuito dalla Polonia che ha posto il blocco sull'importazione di grano da Kiev. E altre nazioni potrebbero cambiare presto atteggiamento nei confronti di Zelenski, sempre più nervoso. 

Esteri 22_09_2023

Nel clima di crescente sfiducia tra Ucraina ed Occidente emerso a partire dal vertice NATO di Vilnius del luglio scorso, l’ultimo atto, eclatante e potenzialmente dirompente, lo ha compiuto la Polonia. La nazione europea forse più ostile alla Russia ha posto il blocco all’importazione di grano ucraino come hanno fatto anche Ungheria e Slovacchia (con quest’ultima vi sono trattative per raggiungere un compromesso) provocando la dura reazione di Volodymyr Zelensky che nel suo intervento all'Assemblea Generale dell'Onu ha accusato alcune nazioni europee che «si limitano a proporre solidarietà, sostenendo indirettamente la Russia».

Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha ricordato il 20 settembre che il suo Paese è stato «il primo ad aprire le porte all'Ucraina» fornendo aiuti umanitari e militari. «Voglio avvertire le autorità ucraine che se il conflitto andrà avanti, aggiungeremo altri prodotti al divieto di importazione», ha detto Morawiecki aggiungendo di essere disposto ad aiutare l'Ucraina, ma «non al prezzo di destabilizzare il mercato polacco». 

La crisi nei rapporti bilaterali è precipitata in poche ore. Morawiecki ha poi annunciato che «non trasferiremo più armi all'Ucraina perché noi stessi ora ci stiamo armando con le armi più moderne. Se vuoi difenderti, devi avere qualcosa con cui farlo», ha spiegato il premier polacco. Un’iniziativa precisata meglio ieri dal portavoce del governo polacco, Piotr Muller. «La Polonia sta dando seguito solo alle forniture di munizioni e armamenti precedentemente concordate, comprese quelle derivanti da contratti firmati con l'Ucraina».

A mettere forse la pietra tombale sui rapporti tra Polonia e Ucraina ha provveduto il presidente polacco Andrzej Duda che il 20 settembre ha annullato l'incontro con Zelensky all'ONU. «Chiunque abbia mai partecipato al salvataggio di un uomo che annega sa che è incredibilmente pericoloso, che può trascinarti negli abissi. È un po' come la situazione tra Polonia e Ucraina. Dobbiamo agire in modo tale da proteggerci dal rischio di subire danni da un uomo che sta annegando. Dobbiamo tutelare i nostri interessi e lo faremo in modo efficace e deciso», ha affermato Duda.

Anche altre nazioni mitteleuropee potrebbero mutare presto atteggiamento nei confronti di Kiev. A Praga ampie manifestazioni hanno contestato il sostegno militare a Kiev e le conseguenze drammatiche sull’economia e i rifornimenti energetici determinati dalle sanzioni a Mosca. In Slovacchia il leader socialdemocratico Robert Fico sembra favorito nelle elezioni del 30 settembre e potrebbe tornare per la terza volta alla guida del governo di Bratislava con un programma che prevede lo stop alle forniture di armi all’Ucraina e alle sanzioni alla Russia chiedendo a USA e Ue di premere su Kiev per un accordo che concluda il conflitto dichiarandosi contrario all’accesso dell’Ucraina nella NATO.

La stessa posizione mantenuta finora dall’Ungheria di Viktor Orban che continua ad acquistare energia (incluse centrali nucleari) dalla Russia. La crescente diffidenza nei confronti del governo ucraino è destinata probabilmente a rafforzarsi in Occidente dopo l’intervento del presidente Volodymyr Zelensky alle Nazioni Unite dove ha ribadito che la guerra cesserà quando i russi si ritireranno da tutti i territori ucraini, Crimea inclusa.

Nessuno spazio alla trattativa sembra essere emerso neppure dagli incontri di Washington alla Casa Bianca e al Campidoglio, dove un gruppo di deputati  repubblicani ha inviato una lettera al presidente Joe Biden per chiedere che non vengano più forniti aiuti.

A minare il clima tra l’Ucraina e i l’Occidente aveva contribuito nei giorni scorsi il consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak che ha definito il documento finale del G20 un testo che «accontenta i mostri, flirta con i maniaci e incoraggia la Russia» e prima aveva accusato le Nazioni Unite di essere filorusse poiché negoziano con i russi un nuovo accordo sul grano. Indimenticabile poi il commento sulla mediazione del Vaticano: «Non ha senso parlare di un mediatore chiamato Papa se lui assume una posizione filo-russa abbastanza ovvia a tutti», ha affermato Podolyak all'emittente Ucraina 24

Il presidente Zelensky, evidentemente innervosito dal pessimo andamento della guerra e dalla tendenza allo smarcamento dell’Occidente, è arrivato a minacciare gli alleati occidentali, in modo neppure velato, in un’intervista rilasciata all’Economist incentrata sul rischio di un minore aiuto militare dall’Europa, determinato da elezioni, equilibri politici interni e insuccesso militare di Kiev. 

Se gli aiuti occidentali venissero meno, Zelensky prevede che l’opinione pubblica in Occidente criticherà duramente i propri governi.  «Le persone non perdoneranno [i loro leader] se perderanno l’Ucraina».

Il presidente ucraino ha paventato addirittura che i governi europei debbano fare i conti con i rifugiati ucraini. Scrive l’Economist: “Ridurre gli aiuti all’Ucraina non farà altro che prolungare la guerra, sostiene Zelenskyj. E creerebbe rischi per l’Occidente nel proprio cortile. Non c’è modo di prevedere come reagirebbero i milioni di rifugiati ucraini nei paesi europei all’abbandono del loro paese. Gli ucraini in generale si sono “comportati bene” e sono “molto grati” a coloro che li hanno accolti. Non dimenticheranno quella generosità. Ma non sarebbe una “bella storia” per l’Europa se dovesse “mettere queste persone in un angolo” 

Minacce e sintomi di nervosismo nei leader ucraini determinati dalle altissime perdite in battaglie, corruzione dilagante e disastro economico e sociale. Basti osservare come Zelensky sia stato costretto a fare piazza pulita nel ministero della Difesa rimuovendo prima i capi di tutti i centri di arruolamento regionale (che vendevano le esenzioni dal richiamo alle armi) poi il ministro Oleksij Reznikov (che avrebbe accumulato una fortuna in Gran Bretagna) e infine tutti i 6 viceministri: Vitaly Deinega, Andriy Shevchenko, Denis Sharapov, Rostyslav Zamlynsky, Volodymyr Gavrylov e la più nota Anna Maljar, protagonista di innumerevoli gaffes commentando le operazioni militari.

Le forze armate hanno deciso di licenziare anche il portavoce in lingua inglese, il transgender statunitense sergente Sarah Ashton-Cirillo, personaggio grottesco e spesso involontariamente comico, protagonista di proclami truci inneggianti anche all’eliminazione dei reporter di guerra russi. 

A preoccupare Kiev è la consapevolezza che l’Occidente sta cercando una via d’uscita dal conflitto, come confermano anche i due giorni di colloqui a Malta tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan lo scorso fine settimana, definiti da entrambe le parti «schietti, sostanziali e costruttivi».

Da qualche tempo i media statunitensi non risparmiano critiche al governo ucraino al punto che a Kiev anche il New York Times è stato definito «agente del Cremlino» dopo aver reso noto che la strage di 16 persone uccise in un mercato affollato di Kostiantynivka, nella regione del Donetsk, è stata provocata da un missile antiaereo ucraino caduto sul centro abitato. Il Nyt ha poi accusato le autorità ucraine di aver impedito ai giornalisti di «accedere ai detriti del missile e all'area dell'impatto nelle fasi immediatamente successive all'attacco» anche se i reporter sarebbero comunque riusciti a raccogliere in un secondo momento i resti del missile la cui esplosione suscitò la condanna di tutto l'Occidente e avvenne (forse non casualmente) mentre a Kiev era in visita il segretario di Stato americano Antony Blinken. 

«L'Ufficio del Presidente è molto arrabbiato con i giornalisti occidentali ed è pronto a inasprire le regole per i media stranieri in Ucraina», riporta l’emittente ucraina TV Resident e del resto le leggi ucraine sulla stampa sono tra le più rigide al mondo. Le autorità ucraine ritengono che le pubblicazioni occidentali stiano «elaborando narrazioni del Cremlino» screditando sia la controffensiva in atto sia il governo ucraino. 

Negli Stati Uniti un rapporto del Pentagono ha reso nota il 16 settembre la scomparsa di armi e munizioni inviate in Ucraina: rischio non nuovo già evidenziato da rapporti di polizie europee e Interpol oltre che da alcuni media d’oltreoceano e che su queste pagine evidenziammo già nel marzo 2022.

Il cambio di rotta nei confronti del regime di Kiev resta per ora sotto traccia in Europa Occidentale, che finora ha brillato per la completa assenza di iniziative politiche o diplomatiche tese a risolvere il conflitto. Se n’è accorto anche Romano Prodi: «Nella guerra in Ucraina non c'è stata una mediazione europea, non c'è un momento di autonomia europea. L'idea che l'Europa non abbia una forza mediatrice, che si lascia quel poco di mediazione alla Turchia, è una umiliazione impressionante», ha detto Prodi.