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Ucciso Gheddafi, ma la guerra non è finita

  • Cade Sirte. Ancora qualche dubbio sulla morte del rais. Ma per la Nato è presto per dichiarare definitivamente chiusa la partita.
  • Intanto il governo italiano non ha rinnovato
    il decreto, scaduto il 30 settembre,
    che autorizza la partecipazione al conflitto.
  • L'esecutivo non ne parla per non rompere
    con la Lega Nord, contraria alla guerra.
  • Così però non c'è copertura finanziaria
    né giuridica per le operazioni dei nostri soldati,
    che ora appaiono figli di nessuno.

Attualità 20_10_2011
il ministro della Difesa Ignazio LaRussa
Si inseguono ancora versioni contrastanti, ma è praticamente certo: Muhmmar Gheddafi è morto. Il leader libico, dato in un primo tempo per ferito dopo la sua cattura a Sirte (la sua città natale, dove si rifugiava a onta di ogni altra speculazioen) parrebbe essere deceduto dopo una corsa in ambulanza. All'ospedale di Misurata il rais sarebbe infatti giunto cadavere. Il colonnello è stato catturato durante la fuga da Sirte, caduta sotto gli ultimi assalti degli insorti dopo un lungo assedio. Eppure sarebbe stato un doppio raid degli elicotteri Nato, a supporto dei ribelli, a bloccare Gheddafi prima e a ferirlo mortalmente in un secondo tempo.


Invece di chiarire la situazione militare, il progressivo crollo delle truppe fedeli a Gheddafi sembra coincidere con una rinnovata confusione, una sorta di cortina fumogena distesa per nascondere i possibili sviluppi di una guerra cominciata dagli europei con superficiale faciloneria e che non sembra sul punto di concludersi. Vale la pena spendere due parole, ancora una volta, per sottolineare la propaganda e disinformazione riversate dai media in buona parte alimentate dagli insorti del Consiglio Nazionale Transitorio, i nuovi governanti della Libia. I numerosi portavoce del Cnt hanno già dato più volte per certa la cattura di Gheddafi e dei suoi figli assicurando che Sirte e Bani Walid erano cadute o "quasi cadute". Almeno nel caso della seconda roccaforte dei lealisti, sembra che la conquista della città da parte delle milizie del Cnt sia stata confermata da reporter internazionali mentre a Sirte invece si continua a combattere e la resistenza dei lealisti è stata già definita "straordinaria" e "incredibile" dagli stessi comandi della Nato e del Cnt.

A conferma della scarsa credibilità dei nuovi padroni della Libia il portavoce della Nato, colonnello Roland Lavoie, il 18 ottobre si è limitato a osservare che «le forze del Cnt hanno fatto registrare significativi passi avanti a Bani Walid sia sul fronte settentrionale che su quello meridionale». La propaganda di Gheddafi, pur limitata alla diffusione sulla tv siriana Al-Rai e su alcuni siti Internet, rilancia rendendo note accanite resistenze e offensive dei lealisti in molte località oltre a insurrezioni persino a Tripoli. esagerazioni, forse, ma negli ultimi giorni forze fedeli al vecchio regime hanno attaccato le formazioni del Cnt a Zuara e nel quartiere Abu Salim di Tripoli. Si tratta di notizie documentate dalla stampa internazionale mentre eventuali azioni militari dei lealisti in altre località potrebbero essere state tenute nascoste dal Cnt. Di certo la coesione popolare intorno al nuovo governo n(che in realtà non è stato ancora formato) è tutta da dimostrare come confermano i reportage da Bani Walid che riferiscono di una città disabitata dove solo i miliziani hanno festeggiato la "liberazione". Sarebbe interessante capire se la tribù Warfalla, la più grande dell'intera Libia con 52 clan e oltre un milione di persone, dopo la distruzione della "sua città" di Bani Walid collaborerà o meno con il Cnt. C'è poi incognita sulla grande regione desertica del Fezzan. I miliziani sembrano aver espugnato Sebha ma truppe lealiste restano nei dintorni e in quella regione Gheddafi sembra aver reclutato 12 mila combattenti Tuareg, sufficienti a scatenare un'insurrezione prolungata.

La fedeltà a Gheddafi delle popolazioni libiche di ceppo africano non dipende solo dall'oro e dal denaro del Colonnello, ma soprattutto dalle rappresaglie di stampo razzista effettuate dagli uomini del Cnt a Thwargha e in altre località sulla popolazione di colore e gli immigrati africani definiti tutti "mercenari di Gheddafi". Crimini contro l'umanità, torture, esecuzioni sommarie e soprattutto saccheggi (nella migliore tradizione beduina) denunciati dalla Croce Rossa Internazionale e da Amnesty International e ignorati dagli alleati della Nato contribuiscono a rinsaldare i ranghi dei lealisti inducendoli a rifiutare la resa e a combattere con tenacia.

Chi conosce quella parte del mondo sa bene che le popolazioni arabe non hanno mai nascosto il disprezzo verso gli uomini di colore, spesso definiti ancor oggi "schiavi", un retaggio della tratta che gli arabi del Nordafrica hanno portato avanti per secoli ai danni delle popolazioni del Sahel e dell'Africa Centrale. Può sembrare paradossale, ma nel Maghreb non è raro sentire gli arabi definire con disprezzo "africani" le popolazioni di colore che vivono più a sud, dimenticando però che sono africani anche loro.

La presenza di Gheddafi tra i Tuareg ai confini col Niger, confermata anche dall'intelligence italiano, apre la strada all'ipotesi che il conflitto assuma le sembianze di quello iracheno o afghano, con forze insurrezionali dedite a colpi di mano, guerriglia e sequestri. Il figlio del Colonnello, Saif al-Islam, ha invitato i suoi seguaci a sequestrare esponenti di rilievo del Cnt o stranieri appartenenti ai paesi della Nato per scambiarli con i loro prigionieri presso i ribelli ma soprattutto per esercitare forti pressioni sui paesi occidentali. Lo stesso schema adottato con successo da al-Qaeda in Iraq e dai talebani in Afghanistan. A preoccupare non è solo la vitalità dei lealisti, che secondo il sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica controllano ancora un terzo della Libia, ma soprattutto la loro capacità di colpire gli interessi occidentali. Nei giorni infatti il portavoce di Gheddafi, Moussa Ibrahim ha incitato a distruggere «le condotte di gas e petrolio che collegano la Libia all'Europa e riforniscono i Paesi colonizzatori della Nato».

Oltre che con i lealisti il Cnt deve fare i conti con le tensioni interne alle diverse anime degli insorti. Dopo aver tentato per settimane di disarmare le milizie presenti a Tripoli, il Cnt ha ordinato la costituzione di una forza per l'ordine pubblico di 22 mila uomini guidata da Abdullah Ahmed Naker, rivale di Abdulhakim Belhajh, capo del Consiglio militare della capitale e leader dei gruppi islamisti il quale ha risposto minacciando di scatenare "il terrore'' per le strade di Tripoli.

Anche per questo le indicazioni (ma sembravano ordini) del segretario di Stato americano Hillary Clinton giunta a Tripoli il 18 ottobre, hanno riguardato il comparto sicurezza. Ai leader del Cnt, Mustafa Jallil e Mahmoud Jibril, la Clinton ha detto di accelerare l'unificazione delle milizie libiche «in un singolo esercito portando le nuove forze armate sotto un comando civile» e ha imposto l'invio di altri contractors statunitensi oltre ai 14 già sul campo che a differenza dei colleghi delle forze speciali europee ( che affiancano l'armata brancaleone degli insorti) cercano di recuperare le migliaia di missili antiaerei portatili scomparsi dagli arsenali di Gheddafi. Probabilmente i cow-boy chiudono il recinto quando i buoi sono già scappati poiché molti missili sono già stati notati dall'intelligence in Sudan, a Gaza tra le fila di Hamas, in Libano tra gli Hezbollah e nel Malì nelle mani degli uomini di al Qaeda nel Maghreb.

Inutile stupirsi quindi se la Nato esita a ufficializzare la fine delle operazioni in Libia pur avendo ridotto in modo significativo l'intervento aereo. Le missioni giornaliere si sono dimezzate e Paesi come Francia, Gran Bretagna, Spagna e Italia hanno ridotto il numero di velivoli assegnati all'operazione "Unified Protector".

Il mancato "rompete le righe" mette in imbarazzo soprattutto il governo italiano che non ha rinnovato il decreto che autorizza la partecipazione al conflitto scaduto il 30 settembre. Il ministro Ignazio La Russa fa finta di niente, affermando che i nostri jet non lanciano più bombe ma è evidente che un nuovo decreto porterebbe alla luce le tensioni con la Lega Nord, contraria alla guerra, ma senza il rinnovo non c'è copertura finanziaria e giuridica alle operazioni militari. Così i costi della guerra ricadono sul già magro e iperdecurtato bilancio della Difesa mentre i militari italiani impegnati nella guerra di Libia che hanno già subito una censura di governo che ha nascosto agli italiani i 40 incursori delle forze speciali schierati sul campo di battaglia, le 2200 missioni aeree effettuate e le oltre 700 bombe e missili lanciati, appaiono ora come figli di nessuno. In guerra senza l'autorizzazione del governo.