Tutto il Covid minuto per minuto, l'overdose mediatica
Dopo gli sforzi per documentare la pandemia nei mesi duri della primavera, l'incantesimo della buona informazione si è rotto e ha lasciato il posto ad una vera e propria campagna di terrorismo mediatico. Giornali, telegiornali e talk show puntano all'emotività della gente, ma così facendo creano confusione e insicurezza. Lodevole l'iniziativa di QN che chiede di fermare questa giostra.
Nei giorni del lockdown i giornalisti, con enormi difficoltà e col rischio di contagio da Covid-19, hanno raccontato l’andamento della pandemia, informando l’opinione pubblica e distinguendosi rispetto al flusso indistinto di comunicazioni sui social, spesso non vagliate e non verificate. Da maggio in poi, però, l’incantesimo della buona informazione si è rotto e molti giornali e le principali televisioni hanno cominciato ad alimentare una sorta di terrorismo mediatico, favorito anche dalla moltiplicazione di talk show e trasmissioni di intrattenimento dedicate sempre e solo all’escalation di contagi e ai rischi per la salute delle persone.
La gran parte dei talk show sono quanto di meno scientifico si possa immaginare, perchè giocano sull’emotività e sul sensazionalismo anziché puntare sull’illustrazione ragionata dei numeri e delle situazioni. Così facendo, alimentano una sorta di allarmismo contagioso, che allontana i cittadini dalla comprensione della reale portata del fenomeno e li destabilizza emotivamente. Senza contare gli effetti collaterali che tale narrazione catastrofista genera sui mercati finanziari, sulle aspettative degli investitori, sulle scelte delle aziende e sull’immagine dell’Italia nel mondo.
Si è innescata una spirale distruttiva che sta devastando la psiche di moltissime persone, continua a condizionare le abitudini sociali e, in alcuni casi, sta anche alterando la personalità degli individui e inquinando le relazioni sociali. La fuorviante contabilità quotidiana su contagi, decessi e ricoveri, sganciata da qualsiasi ulteriore illustrazione della tipologia di casi, del numero di patologie pregresse per ciascuno dei ricoverati o dei deceduti e del decorso dei ricoveri di questo periodo, alimenta interpretazioni allarmistiche e spinge i circuiti mediatici a dare sempre più spazio solo a quanti tendono a drammatizzare una situazione sicuramente problematica, ma gestibile con le attuali dotazioni del nostro Sistema sanitario nazionale.
Molti giornalisti si sono fatti inghiottire dal “pandemismo” e sembrano come caduti in trappola. Si sono fatti contagiare da un altro virus, quello dell’infodemia. Eppure possono ancora disintossicarsi, se riusciranno a guardare oltre quello che sta accadendo in questa fase storica. Le persone e la società in generale avvertono un immenso bisogno di ritorno alla normalità e i mezzi d’informazione dovrebbero mostrare più autonomia e autorevolezza nel calibrare i toni della narrazione sul Covid, evitando enfasi e ossessivi riferimenti ai numeri, che dicono molto poco se decontestualizzati.
Tanti sono stufi dell’overdose di notizie, previsioni, opinioni sul Coronavirus e vorrebbero sentir parlare d’altro. Proprio come succede in altri Stati, che peraltro registrano quotidianamente un numero di casi superiore a quello italiano. Ad esempio in Gran Bretagna o in Francia, il Covid viene spesso relegato con un richiamo in prima pagina o, nel caso dei tabloid inglesi, non appare nemmeno in copertina. Sui giornali francesi e inglesi si parla prevalentemente d’altro, nonostante a Londra e dintorni siano molte le opinioni critiche nei confronti di Johnson e della sua gestione dell’emergenza sanitaria. Lodevole la campagna lanciata in queste ore dal Quotidiano Nazionale (QN), con un editoriale del direttore Michele Brambilla e interviste ad esperti di comunicazione o giornalisti, che denunciano una pericolosa deriva dell’informazione italiana, ormai profondamente “infettata” dal virus dell’allarmismo.
Anche per il sociologo Derrick de Kerckhove, l’allievo prediletto del grande massmediologo americano Marshall McLuhan, la deriva dei media nostrani, che seguono ossessivamente qualsiasi argomento collegato al virus, può essere pericolosa. Si tratta di un’overdose di articoli e puntate e puntate di talk show che genera caos. "Alla fine – dichiara de Kerckhove - non si capisce più di che cosa ci si possa fidare. Le cifre sono credibili? La cura funziona? Il virus è pericoloso? Tutta questa incertezza finisce per aumentare la paura. Stiamo attraversando una vera e propria crisi epistemologica: non si capisce più cosa abbia senso e cosa no. E poi c’è un altro aspetto". La gente è stanca di restrizioni ma anche del bombardamento mediatico sul virus, che ormai fa breccia solo sui soggetti completamente ossessionati dalla paura di potersi contagiare semplicemente uscendo di casa. "Ormai regna la paura – ha scritto qualche giorno fa il direttore di QN, Michele Brambilla - A questo siamo arrivati snocciolando ogni giorno titoli di prima pagina sempre più ansiogeni, con parole come resistenza, battaglia, incubo. Ci hanno raccontato che siamo in guerra".
E un suo editorialista, Alessandro Milan, ieri ha lanciato, sempre dalle colonne della principale testata del gruppo Riffeser, un appello ai telegiornali: "Quello di cui avremmo bisogno è un gesto di rottura, che risulterebbe ancora più efficace se provenisse dal mondo della Tv. Pensate se una sera di queste Lilli Gruber, Barbara Palombelli, o un qualsiasi giornalista iniziasse il programma che conduce così: Oggi non parleremo di Covid. A volte le rivoluzioni si innescano a partire da piccoli azioni. E una rivoluzione, in questo caso, è necessaria per far fronte a questa epidemia informativa sul coronavirus. Se le redazioni fossero in crisi di spunti alternativi, eccone alcuni: l’emergenza droga tra i giovani, le elezioni americane, il fanatismo islamico che riesplode in Francia, e potrei continuare. Invece, me la figuro la riunione con gli autori a discutere su quale virologo di turno invitare, se della linea catastrofista o prudente, e quale ministro coinvolgere, se l’intransigente o il morbido sui provvedimenti da attuare".
Anche il polemista Massimo Fini, in un’intervista su quel quotidiano, ha denunciato il bombardamento mediatico sul Covid, che sta facendo crescere, tra le altre cose, il consumo di psicofarmaci. "Non se ne può più dei giornali fatti così. E men che meno della televisione. Esiste un solo argomento: il Covid. La pandemia è il nuovo pensiero unico. È ora di fare marcia indietro e cominciare a parlare d’altro. Stiamo alimentando un’ansia di massa che è il male della modernità, un’ansia che si traduce in tossicodipendenza, alcolismo, depressione. L’uomo è capace di rinunciare a vivere pur di non morire".
Peraltro, come sottolinea lo stesso direttore Brambilla, "nel 1956 e nel 1970 ci sono state, in Italia, epidemie non dissimili da questa: ma provate a sfogliare i giornali o rivedere i telegiornali di allora". E allora è giunto il momento, per i media, di fare autocritica e di compiere gesti “trasgressivi”: dare obbligatoriamente spazio ogni giorno, nelle aperture dei telegiornali e nelle prime pagine dei giornali, alle cosiddette good news, che trasmettono all’opinione pubblica fiducia e desiderio di ripartenza, anche durante questa fase di convivenza con il virus; ridimensionare il valore scientifico della contabilità quotidiana dei contagi, dei decessi e dei ricoveri, che tanto terrorizza ma poco informa, anzi, in molti casi, disinforma.