Tutti i segreti della Dottoressa Pastorale
Giorno di nascita: 8 dicembre 1965. Padre: l’ingegner Modernismo. La sua educazione: nessuna regola, solo l’istinto. Il suo “pregio”: la misericordia selettiva. Il suo sogno nel cassetto: è già stato cantato… La Nuova Bussola intervista in esclusiva la Dottoressa Pastorale.
Mi avevano avvertito di stare attento. Il luogo dell’intervista era proprio a ridosso delle linee nemiche. Laddove le pallottole fischiavano e potevi vedere il bianco degli occhi del nemico. Lì avrei dovuto incontrare la Dottoressa Pastorale, specializzata in chirurgia d’emergenza. Mi armai quindi di matita e taccuino (e anche di giubbotto antiproiettile) e a bordo di una jeep militare, targata SCV, io e l’autista, fornitomi dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, partimmo a razzo verso il fronte del conflitto armato.
Dopo aver superato un paio di fiumi grazie a ponti di barche costruiti dal genio civile della Gendarmeria Vaticana e dopo esserci infilati in enormi brecce ricavate in alte mura dagli artificieri delle Guardie Svizzere, mura erette dal nemico, eccoci arrivati ad un immenso ospedale da campo. Prima delle urla di dolore dei soldati lì ricoverati, mi colpì il puzzo di quel luogo. Un misto di carogna di topo e discarica a cielo aperto. Sembrava di stare all’inferno. Scesi dalla jeep e chiesi al primo infermiere che mi capitò a tiro della Dottoressa Pastorale. Mi indicò una tenda, tipo quelle usate da Emergency, dove al posto dell’usuale croce rossa campeggiava il simbolo della pace, ma pur sempre di colore rosso.
Entrai e la riconobbi subito, anche se mi dava le spalle. Di mezza età, tarchiata, chiaramente in sovrappeso, capelli scarmigliati color paglia stinta, con la ricrescita ben visibile. Vestiva il camice d’ordinanza, chiazzato di sangue in più punti. Era all’opera: davanti a lei un militare che si agitava sul tavolo operatorio. Gli stava suturando una gamba, squarciata da parte a parte da un’ampia e profonda ferita. Mi avvicinai e fui investito da un acuto olezzo di pecora bagnata che proveniva dalla stessa Dottoressa.
A quel punto riuscii a vederla in volto, un volto segnato da rughe profonde e in cui dominava uno sguardo spento, quasi appannato, che strideva con l’energia che emanava. Infatti era quasi tarantolata, tanto si muoveva di qua e di là attorno al tavolo operatorio. I gesti poi erano rapidi e vigorosi, ma assai rozzi, e sempre accompagnati da ordini, invettive e commenti di ogni tipo. Mi scorse, anzi mi gettò un’occhiataccia.
«Tu devi essere quello della Bussola, vero?», mi grugnì contro.
«Sì, esatto, Dottoressa. Ma forse non è il momento adatto per lei…».
«Non è mai il momento adatto in guerra, figliolo. Forza spara…. tanto per rimanere in tema»; e si aprì un sorriso sbieco sul suo viso.
Mi ero preparato le domande, ma la vista di tutto quel sangue addosso a lei, e che sgorgava dalla gamba ferita del soldato lì disteso davanti a me, mi aveva bloccato. La Dottoressa, intuendo il corso dei miei pensieri, intervenne: «Si tratta di un divorziato risposato. È stato colpito a una gamba da una granata a frammentazione lanciata dalla brigata Familiaris Consortio. Come se non bastasse, quelli usano armi teologiche vietate dal Documento sulla Fratellanza umana per la Pace Mondiale e la Convivenza comune siglato ad Abu Dhabi. Ma ormai li abbiamo presi quei maledetti. Solo pochi ci stanno sfuggendo. Si nascondono nella macchia delle piccole associazioni e giornali, i vigliacchi. Però prima o poi riusciremo a stanarli. Abbiamo ucciso o catturato quasi tutti i loro generali. Quelli fatti prigionieri li abbiamo spediti nel campo di rieducazione dell’isola di Guam. Stiamo poi torchiando gli ufficiali per farli confessare: ci devono dire che anche i divorziati risposati possono fare la Comunione».
Intanto, la Dottoressa continuava ad armeggiare con filo e ago da sutura. Il divorziato risposato gemeva senza ritegno. «Di cosa ti lamenti tu?!», lo apostrofò la Dottoressa Pastorale: «Un paio di giorni di convalescenza e poi potrai tornare a camminare e a fornicare come prima».
Un altro bel ricamo nella carne del divorziato e la Pastorale si rivolse nuovamente a me: «Non stare lì impalato! Non sei mica venuto qui per farmi delle domande? E allora inizia! Non ho mica tempo da perdere io! Non vedi che a frotte dal fronte ci portano i feriti? C’è di tutto: i gay che vogliono mettere su famiglia, gli uomini che vogliono farsi donne, le donne che vogliono farsi uomini e quelle che vogliono farsi prete e i preti che vogliono sposarsi. Insomma non ce n’è uno che voglia stare al suo posto. E poi ci sono quelli che non riescono a prendere sonno perché non sanno se i cartoni del latte vanno nel bidone del cartone o nell’indifferenziato e quelli che vogliono adorare in San Pietro la doppia divinità aborigena Bagadjimbiri perché, cosi dicono, non esiste solo la Pachamama a questo mondo. Tutti feriti dai reparti speciali dei pelagiani. Ma contro questi abbiamo sguinzagliato qualche dozzina di indigeni dell’Amazzonia capitanati da alcuni probiviri. Gente che non fa prigionieri, tanto per capirci».
Di fronte a quell’elenco terrificante, mi ripresi immediatamente dal mio stato di shock, quasi che quella teoria di eresie fosse una potente iniezione intracardiaca di adrenalina.
D’accordo Dottoressa, partiamo con le domande. Qualche informazione biografica su di lei.
«Sono nata nella Città del Vaticano l’8 dicembre del ’65. Il giorno di chiusura del Concilio [Vaticano II, n.d.a.]. Mia madre, che anche lei di cognome faceva Pastorale, morì nel darmi alla luce. Mio padre, l’ingegner Modernismo, decise di sparire e affidarmi alle cure di tre papà: Hans Kung, Urs von Balthasar e Walter Kasper. Un’educazione splendida: nessuna regola, solo l’istinto. Potevo fare quello che volevo. Se poi qualcuno storceva il naso, gli buttavi sotto il naso la questione dei poveri, dei lavoratori o roba simile. E lui zitto, altrimenti passava per uno senza cuore. Dicevo: furono anni meravigliosi. Se una cosa era proibita, bastava dire che quella cosa nella Chiesa primitiva si faceva oppure che era secondo lo spirito del Vangelo. Se era nuova, tutto merito dello Spirito Santo che soffia dove vuole. I laboratori creativi erano i miei preferiti: ad esempio, trasformare la liturgia in una cena, un sacerdote in un laico, un peccato in una fragilità, l’indissolubilità del matrimonio in un ideale utopico».
Intanto il divorziato risposato stava visibilmente meglio, tanto che aveva estratto il suo cellulare da una tasca della giubba e aveva iniziato a chattare su un sito di incontri.
Stiamo sempre sul personale. Un suo pregio? Un suo difetto?
«Forse la mia miglior qualità è la mia misericordia selettiva. In altri termini: buona e brava, ma con chi voglio e con chi se lo merita. Difetto… ammetto di avere qualche chilo in più. Tutta colpa del mio lavoro. Una pastorale che cammina a sedute non fa bene alla salute. Per fortuna che il nuovo corso mi permette di fare più movimento».
Una persona famosa a cui si ispira?
«Mattarella. Non perché Mattarella, ma perché Presidente della Repubblica».
Il suo peggior nemico dentro le mura vaticane?
«La Prof.ssa Dottrina. Pensa che si debba fare sempre quello che vuole lei. E poi è così precisina su tutto... dà veramente sui nervi… Ma ormai si nasconde negli scantinati».
E fuori?
Sghignazza: «Naturalmente Salvini. A tal proposito abbiamo intenzione di abbattere le mura vaticane - altrimenti che figura ci facciamo con Trump? - e vogliamo chiedere a ogni vescovo e cardinale di ospitare a casa propria almeno un immigrato. Se non hanno spazio per farli dormire, abbiamo già pensato di acquistare dei letti a castello. Il prelato ovviamente dovrà dormire sotto».
Intanto la Dottoressa aveva finito con il divorziato risposato e si stava dedicando a un militare della Compagnia Lutero, letteralmente saltato in aria su una mina anti-eresia “Dominus Jesus 2000” di fabbricazione ratzingeriana.
Lettura preferita?
«La Costituzione. Ovviamente mi riferisco a quella italiana, che è la più bella del mondo».
Squilla il cellulare della Dottoressa: “Èèè l’amico èèe qualcosa che più ce n’è meglio èèe”. «Sì, pronto?» risponde la dottoressa. «Ho chiamato prima. Mi servono ur-gen-te-men-te 200 sacche di plasma solidale, altrimenti qualcuno qui tirerà le cuoia entro sera. Capito? Bene. Pachamama a lei e a tutti i suoi cari».
Ultima domanda. Progetti per il futuro?
«Ma che domande! Stiamo lavorando a una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa, passando da Malcom X attraverso Gandhi e San Patrignano, arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano».
La Dottoressa mi saluta in modo frettoloso. Il militare della Compagnia Lutero ha bisogno delle sue cure perché è messo male. Forse perderà una gamba, dopo aver perso la fede già da un bel pezzo. Io monto di nuovo sulla jeep che schizza a tutta velocità verso le retrovie. Dietro di me i bagliori della battaglia che infuria, bagliori che assomigliano tanto a un tramonto autunnale. O forse a un’alba in primavera.