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LE INDAGINI

Tutti i misteri irrisolti della strage di Parigi

Non ne è rimasto vivo nemmeno uno, non ci sono terroristi che possano essere interrogati sulla dinamica e sulle origini della loro azione. Restano irrisolti molti misteri, su chi siano, a chi siano affiliati, o se siano una cellula autonoma. Ma pur senza scadere nel complottismo, restano molti dubbi sulle indagini, su una patente dimenticata, su una pompa di benzina troppo ostentata...

Esteri 14_01_2015
Raid, le teste di cuoio francesi

La marea di retorica che sta sommergendo i tragici fatti che hanno insanguinato Parigi rischia di distogliere l’attenzione da quanto accaduto per concentrarla su un simbolismo un po’ ipocrita. Eppure di domande rimaste senza risposta nella dinamica dei fatti, dall’attacco islamico alla redazione del Charlie Hebdo all’uccisione dei due fratelli Kouachi e di Amedy Coulibaly, ce ne sono una valanga ma semplicemente pare che quasi nessuno abbia voglia di porle e di pretendere delle risposte.

Prima la scorpacciata di sfilate politically correct con i leader del mondo (meno un distratto Obama) che fingono di mischiarsi a una folla da cui si tengono invece ben lontani, camminando iperprotetti da battaglioni di body guards per pochi minuti a soli fini mediatici. Poi i soliti appelli a lottare contro il terrorismo senza mai utilizzare la parola “islamico”. Infine le paradossali denunce delle organizzazioni musulmane che rispolverano il rischio di “islamofobia” quando però sono gli ebrei francesi a dover girare per strada sotto scorta militare. Dopo tutto questo, l’attenzione per quanto sta emergendo dalle indagini è stranamente davvero modesta.

Sono almeno una dozzina i possibili complici dei tre componenti della cellula terroristica dei ricercati, inclusa Hayat Boumeddienne, la moglie di Coulibaly che tanto potrebbe raccontare sulla messa a punto del piano, sulle complicità e le forniture di armi da guerra dei tre terroristi. Dopo aver sentito le voci più disparate sul suo conto, pare ora che la tunisina sia da oltre una settimana riparata in Siria attraverso la Turchia. Perché non chiedersi allora per quale ragione la polizia abbia ucciso i tre uomini?

Questione non certo marginale dal momento che gli inquirenti sembrano avere bisogno ancora di molte informazioni prima di chiudere le indagini. Probabilmente la presenza di ostaggi ha reso necessario abbattere Coulibaly all’interno del negozio di alimenti ebraici anche se i 40 colpi al cranio sparati dai poliziotti (secondo quanto riferiscono le cronache) lasciano trasparire una gestione “splatter” più adatta a un film di Quentin Tarantino che a dei professionisti delle forze speciali.

I due fratelli Kouachi potevano invece venire presi vivi quando sono usciti sparando all’impazzata dalla tipografia di Dammartin senza ostaggi con cui farsi scudo. Possibile che i tiratori scelti dei reparti speciali Raid (Police Nationale) e GIGN (Gendarmeria), ben piazzati in ogni angolo, non fossero in grado di ferirli in modo non letale rendendoli comunque inoffensivi?

A ben guardare di aspetti poco chiari è disseminata tutta la cronologia degli eventi. Senza voler cadere nel complottismo non si capisce come sia stato possibile per Said e Sherif sparare per molti minuti un gran numero di colpi di kalashnikov (arma da guerra il cui rumore non si confonde certo con quello del traffico) in pieno centro di Parigi senza richiamare sul posto molte auto di polizia e gendarmeria, peraltro su un obiettivo considerato da quattro anni molto esposto ad atti terroristici.

I due fratelli franco-algerini da un lato si sono mostrati freddi e implacabili killer con qualche rudimento di formazione militare di base (probabilmente ricevuta in qualche campo di addestramento jihadista in Yemen e Siria) ma invece di fuggire dal luogo della strage perdono tempo a ferire e poi finire un poliziotto.

Agiscono a viso coperto per non farsi riconoscere ma poi i due killer sono talmente “pivelli” da lasciare i documenti (di entrambi) su una delle due auto utilizzate per lasciare Parigi e poi abbandonate. Sulla Citroen pare abbiano lasciato persino un guanto (giusto per essere certi di confermare con le impronte digitali la propria identità che infatti viene resa nota quasi subito), diverse bombe molotov e due bandiere dello Stato Islamico, anche se i superstiti della strage alla redazione di Charlie Hebdo li hanno sentiti affermare di appartenere al braccio yemenita di al-Qaeda.

Fossero stati dei terroristi suicidi barricatisi nella redazione di Charlie Hebdo per combattere fino all’ultimo o farsi esplodere sarebbe stato comprensibile che volessero essere identificati ma invece hanno tentato in ogni modo di fuggire.

Sono inizialmente riusciti a mettere in scacco 90 mila poliziotti che li cercavano: numero annunciato dal Ministero degli Interni e a dir poco spaventoso (di poco inferiore ai soldati con cui gli Stati Uniti invasero l’Iraq nel 2003 e superiore del 50% a quelli dei militari della Nato che entrarono in Kosovo nel 1999) il cui annuncio costituisce un regalo alla propaganda jihadista che può oggi celebrare i suoi “eroi”, morti combattendo in un rapporto di 45.000 a 1 superiore persino a quello che dovettero affrontare i 300 opliti spartani alle Termopili.

Dalle fonti ufficiali francesi emerge che, dopo essere riusciti ad allontanarsi un centinaio di chilometri da Parigi, i fratelli Kouachi sono stati riconosciuti, benché indossino i cappucci della giacca sportiva, dal gestore di una pompa di benzina che nota anche fucili kalashnikov e un lanciarazzi evidentemente lasciati in bella mostra. Della stazione di servizio viene stranamente resa nota l’ubicazione e il logo della società petrolifera mettendo così l’impianto alla mercé di chiunque volesse vendicare la “soffiata” alle forze di polizia.

Tutti questi aspetti non hanno stranamente destato troppe domande mentre molte polemiche sono sorte invece intorno al fatto che i tre terroristi fossero noti da tempo come tali o come simpatizzanti jihadisti sia alla giustizia che alle galere francesi. Criticare i servizi di sicurezza  e intelligence per omessa sorveglianza ha un senso però solo se non si tiene conto che di personaggi del genere in Francia ne vivono almeno 4mila, tutti a piede libero, fiancheggiati da qualche decina di migliaia di sostenitori. Sorvegliarli tutti, 24 ore al giorno, e proteggere tutte le migliaia di possibili bersagli dei terroristi islamici è impossibile in uno Stato non poliziesco, richiederebbe un numero spropositato uomini e risorse finanziarie che nel settore della sicurezza vengono invece tagliate da tempo in quasi tutta Europa.

Said Kouachi era stato arrestato per aver arruolato terroristi da inviare in Iraq a combattere al-Qaeda ma non è certo colpa della polizia o dei servizi segreti se per questo reato è stato in galera solo 18 mesi invece che 18 anni.

Infine vale la pena sottolineare l’assenza di rivendicazioni della strage al Charlie Hebdo, almeno fino alla morte dei tre. Tutti gli esperti hanno sempre sottolineato che le rivendicazioni giungono entro 24 ore dall’atto terroristico. Lo Stato islamico (Is) non ha rivendicato il massacro ma si è limitato a definire i Kouachi “jihadisti eroi” e pure al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap)  si è limitata a complimentarsi con gli “eroi”. Solo dopo la morte dei tre terroristi, i qaedisti e lo Stato Islamico hanno ammonito la Francia minacciando altre azioni e attribuendosi così, in modo poco convincente, la paternità degli atti terroristici.

Più credibile forse che i tre costituissero una cellula che si è mossa in autonomia, “cani sciolti” ma ben armati, esponenti del “terrorismo molecolare” di cui ha parlato il sottosegretario italiano con delega ai servizi segreti, Marco Minniti formato da cellule sparute e prive di capi.

Difficile avere certezze ma certo molti nodi avrebbero potuto scioglierli gli stessi terroristi. Se ne avessero preso almeno uno vivo.