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AFRICA

Tutte le colpe del "terzomondismo"

I mali del Continente Nero non sono addossabili all'"ingerenza europea", come invece dicono i leader africani
e certi intellettuali al loro servizio.

Attualità 22_09_2011
Africa

 

Un giorno, quando le ideologie antioccidentali, e in particolare il terzomondismo, avranno smesso di contaminare le scienze politiche e sociali, si capirà che l’Occidente non è l’unico e nemmeno il maggiore responsabile di come sono andate le cose in Africa dopo la fine dell’epoca coloniale europea: semmai vanno considerate le colpe di singoli soggetti politici ed economici. Piuttosto è proprio al terzomondismo che va attribuita una grave responsabilità: quella di aver assecondato per decenni, dopo le indipendenze, le tesi dei leader africani, e degli intellettuali al loro servizio, che attribuiscono all’ingerenza europea ogni male di cui l’Africa ha sofferto nei secoli a partire dal primo impatto con l’Europa. Questo ha rallentato la già difficile presa di coscienza da parte delle popolazioni africane del comportamento deplorevole di tanti loro governi, con il risultato che intere generazioni hanno guardato con fiducia ai loro capi o, se non altro, li hanno accettati, convinti che alla povertà si rimedia attingendo alle ricchezze dei paesi ricchi del Nord del mondo e ribellandosi alla loro insaziabile avidità.

Ma, alla fine, i tempi sono cambiati. Scolarizzazione e inurbamento non solo hanno creato in milioni di africani aspettative di una vita migliore, ma li hanno resi consapevoli di quante risorse nazionali vadano sprecate nei loro paesi per malgoverno e inettitudine e quante diventano patrimonio personale di chi ha accesso alle cariche pubbliche e controlla l’apparato statale. Di qui la primavera araba, una rivolta non tanto per il pane, che ai manifestanti non mancava, ma per la dignità umana e la speranza, negate dai loro governi colpevoli di abusi, ingiustizie e corruzione.
Anche dall’Africa subsahariana, inoltre, si moltiplicano le notizie, ormai quasi quotidiane, di proteste e di altre manifestazioni di dissenso rivolte alle leadership insaziabili di potere e di ricchezza.
Di questo segno è stata l’iniziativa che il 14 settembre ha riunito a Parigi, sotto la sede dell’Unesco, centinaia di africani residenti in Francia, originari dell’Africa occidentale, che hanno protestato contro i rispettivi capi di stato intenti alla consegna del premio Houphouet-Boigny per la pace, quest’anno assegnato all’associazione argentina Madri di Plaza de Mayo.

A ravvivare l’indignazione nei confronti di alcuni leader africani erano state nei giorni precedenti le rivelazioni fatte al “Journal du dimanche” da Robert Bourgi, consigliere dell’Eliseo per le relazioni con l’Africa, a cui la stampa francese e africana hanno dato ampia risonanza. Bourgi sostiene che somme incalcolabili, pari a milioni e milioni di euro, in contanti trasportati in valigie, sono state donate nel corso degli anni da alcuni presidenti africani a dei dirigenti politici francesi allo scopo di finanziarne i partiti e le campagne elettorali, ottenendo in cambio sostegno politico e il silenzio sul deficit di democrazia dei loro governi. Nel 2002, ad esempio, la Costa d’Avorio avrebbe contribuito al finanziamento della campagna elettorale del presidente francese Jacques Chirac con l’offerta di tre milioni di euro. Tra i capi di Stato africani finora chiamati in causa figurano il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, eletto per la prima volta nel 2000, quello del Burkina Faso, Blaise Compaoré, in carica dal 1987, e quello della Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso, al potere dal 1979 al 1992 e poi a partire dal 1997. Su Compaoré e Sassou Nguesso sono inoltre già in corso indagini da parte della giustizia francese che ha accolto la richiesta di alcune organizzazioni non governative di accertare la fonte dei capitali - presumibilmente non frutto di risparmi famigliari - con cui hanno acquistato in Francia proprietà immobiliari valutate milioni di euro.

Ulteriori rivelazioni sia sul versante francese che su quello africano si attendono dalla imminente pubblicazione di un libro scritto dal giornalista Pierre Pean, alla stesura del quale Bourgi ha collaborato, dall’eloquente titolo La république des malettes, la repubblica delle valigette.