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ERDOGAN

Turchia, un'economia "ottomana" maschera della crisi

Dall'inizio dell'anno la lira turca perde il 25% di valore rispetto al dollaro. Non proprio un'inezia. Soprattutto per chi, come Erdogan, ha sempre sbandierato la crescita economica come contraltare per la fine delle libertà civili e politiche in Turchia.

Esteri 29_05_2018
Recep Tayyip Erdogan

Un'economia ''ottomana'' che il Sultano Erdogan rischia di pagare con la propria poltrona. Dall'inizio dell'anno la lira turca perde il 25% di valore rispetto al dollaro. Non proprio un'inezia, che anche a chi non è economista o esperto di finanza appare un campanello d'allarme preoccupante per chi, come Erdogan, ha fatto della presunta crescita economica del suo Paese un contraltare a quanto accade in termini di negazione di libertà fondamentali.

La foglia di fico dell'economia turca che cresce, anche questa un'altra mezza verità raccontata ad un Paese sotto scacco da un regime ormai palesemente liberticida, estremista e legato a doppio filo con la Fratellanza Musulmana, inizia a cadere. E con esso anche una serie di certezze che Erdogan ha per mesi sbandierato senza però, come vediamo ora, avere realmente la situazione sotto controllo: una bugia colossale quella di una Turchia che ha giovato della 'cura' del Sultano, perché Ankara è fortemente indebitata con l'estero e se il dollaro diventa sempre più pesante in confronto alla lira turca diventerà via via più difficile poter rimborsare in moneta nazionale quei prestiti contratti nel tempo. E il pericolo che ne può derivare sia per la Turchia che per gli investitori stranieri non ha granchè bisogno di essere spiegato.

La verità è che la Turchia di Erdogan sente ormai potente il fiato sul collo della finanza internazionale e, come abbiamo visto più volte in giro per l'Europa e negli Usa, questa quando colpisce fa molto male. La Banca Centrale ha messo in atto, a dire la verità in maniera piuttosto blanda, qualche misura per frenare questa emorragia di fiducia e di valore relativamente alla credibilità turca ma la situazione rimane incandescente, nonostante Erdogan prosegua nella sua facciata di potente statista. Che si traduce, con gli arresti di massa e i processi lampo, nel diventare un satrapo liberticida che, come tutti coloro che si fregiano di questo titolo, portano il proprio Paese alla rovina. Il 24 giugno, fra meno di un mese dunque, la Turchia andrà ad elezioni anticipate e Erdogan continua ad esercitare pressione sulle banche centrali affinché esse sostengano il Paese e non lascino che la perturbazione finanziaria e monetaria in atto diventi un fattore determinante nelle urne.

Dietro alla maschera di Erdogan c'è un personaggio in difficoltà, e il fatto che aumenti la pressione delle manette sui dissidenti lo segnala ancora di più: ora è il momento di sostenere chi vuole dare alla Turchia un futuro laico e democratico, chi come Meral Aksener e altri candidati interpretano il malessere e la rassegnazione del popolo turco contro il Sultano. Perché alla crisi politica e sociale potrebbe aggiungersi, visti i dati emersi in queste ore, anche quella economica e sarebbe devastante per un Paese che già boccheggia per tentare di aggrapparsi alla speranza di tornare a vivere in libertà.