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JIHAD

Turchia, scorrerà ancora molto sangue

La strage di Capodanno alla discoteca Reina di Istanbul può essere solo l'inizio di una serie di attentati. Non c'è solo l'Isis a sentirsi tradito dalla Turchia, per il suo voltafaccia nella guerra in Siria (su cui Erdogan ha accettato il compromesso con Putin), ma tutti i gruppi armati che combattono il regime di Assad. C'è dunque da attendersi un'escalation di violenza in un paese già duramente colpito.

Esteri 03_01_2017
Istanbul, polizia sul luogo della strage

Non c’erano mai stati dubbi reali sulla matrice della strage di Capodanno a Istanbul ma a più di 30 ore dall'attentato è arrivata la rivendicazione dello Stato Islamico che attribuisce a un “suo soldato” il massacro nel "più famoso nightclub dove i cristiani stavano celebrando la loro festa apostatica".

L’ipotesi sollevata da alcuni in Turchia che fossero stati i curdi del PKK a compiere l’attacco non ha mai retto poiché i miliziani curdi colpiscono duro ma solo obiettivi politici o militari, non attaccano civili né tanto meno turisti stranieri. Nel suo comunicato, diffuso per la prima volta anche in lingua turca, l’Isis definisce la Turchia "serva dei crociati" motivando l'attentato come una ritorsione nei confronti dei bombardamenti di Ankara in Siria dove le truppe turche proseguono l’Operazione “Scudi dell’Eufrate” tesa a scacciare i miliziani Isis (e curdi) dai suoi confini meridionali.

La polizia turca ha arrestato a Istanbul otto persone per presunto coinvolgimento nella strage mentre prosegue la caccia al killer che ha scaricato 4/6 caricatori di kalashnikov da 30 colpi ognuno sulla folla, sparando secondo alcune testimonianze da due postazioni diverse al punto che non si può escludere che i killer fossero due. A quanto pare l'attentatore era originario del Xinjiang, regione cinese a maggioranza musulmana che ha dato molti foreign fighters al Califfato. "Determinato, dal sangue freddo ed esperto" ha commentato dopo aver visto il video della strage Abdullah Agar, ex militare e uno dei più noti esperti di scurezza turchi. "Probabilmente ha già sparato in zone di guerra; non ha avuto esitazione ad aprire il fuoco su persone innocenti".

Il 30 dicembre le autorità turche avevano ricevuto informazioni dagli Stati Uniti, che avvertivano del rischio di un attacco da parte dello Stato islamico durante la notte di Capodanno a Istanbul o Ankara. L'allerta, però, non è bastata a evitare la strage: il terrorista è arrivato al Reina Club in taxi all'una e un quarto, ha preso una borsa dal bagagliaio e ha estratto il fucile d’assalto. Ha iniziato a sparare già fuori dal locale, colpendo prima un poliziotto e un civile; dentro alla discoteca, poi, ha sparato alla cieca sulle circa 600 persone presenti, che stavano festeggiando l'arrivo del 2017. Le vittime sono 39, la maggior parte stranieri, e 70 i feriti. Secondo le ricostruzioni, nel luogo della strage sono stati esplosi tra i 120 e i 180 colpi in sette minuti. Oltre alla rivendicazione, lo Stato islamico ha diffuso anche messaggi in cui si esorta a colpire la Turchia e gli interessi turchi nel mondo. Un Paese colpito da almeno una dozzina di attentati nel 2016, l’ultimo ad Ankara dove un poliziotto di 22 anni ha ucciso per vendicare i "morti di Aleppo" l'ambasciatore russo Andrey Karlov.

Nello stesso quartiere in cui si è verificata la strage al Reina Club, lo scorso 10 dicembre era avvenuto l’attacco allo stadio Besiktas dell’omonima squadra di calcio in cui morirono 38 persone e altre 166 rimasero ferite. L’escalation di azioni jihadiste contro Ankara si presta a diverse valutazioni. Innanzitutto l’Isis sta subendo l’offensiva turca nel nord della Siria pur combattendo con la consueta tenacia (almeno due dozzine i soldati turchi uccisi e almeno 4 i carri armati distrutti o catturati) ma sul piano strategico il riallineamento turco al fianco di Mosca e indirettamente di Bashar Assad ha compromesso le capacità belliche dello Stato Islamico e di tutti i gruppi ribelli siriani che avevano in Turchia le loro retrovie. Meno di un anno or sono l’Isis vendeva in Turchia il suo petrolio e faceva curare in ospedali turchi i suoi feriti; indimenticabili le immagini dei soldati di Ankara che fraternizzavano con i miliziani jihadisti che assediavano i curdi a Kobane.

Il “tradimento” turco non coinvolge solo la causa dell’Isis ma in generale quella di tutti i gruppi che combattono il regime di Bashar Assad, la cui caduta era dal 2011 una priorità per il governo di Ankara che oggi ha ridimensionato le sue ambizioni “accontentandosi” di garantirsi confini sicuri a sud e scongiurare la nascita di un’entità curdo-siriana. L’accordo turco-russo-iraniano che ha portato alla tregua in Siria nasce dalla disfatta dei ribelli ad Aleppo, a sua volta determinata proprio dal blocco degli aiuti ai gruppi armati imposto da Ankara che ha chiuso il flusso dei rifornimenti provenienti dalle monarchie saudite del Golfo e dagli Stati Uniti. Un voltafaccia maturato negli ultimi mesi dopo il fallimento del golpe di luglio ad Ankara, che ha dimostrato a Recep Tayyip Erdogan quanto fossero poco affidabili le alleanze con Occidente e arabi favorendo l’avvicinamento a Mosca.

Per questa ragione non è solo l’Isis ad avere validi motivi per colpire e destabilizzare la Turchia, divenuta ostile anche per i qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra e i diversi movimenti salafiti sconfitti ad Aleppo, così come per Arabia Saudita e Qatar che tanti sforzi e denari avevano investito in Turchia per rovesciare il regime di Damasco. In questo contesto assume quindi una certa rilevanza l’annuncio di Numan Kurtulmus, vice-primo ministro e portavoce del parlamento, che l'offensiva militare nel nord della Siria contro l’Isis e i curdi continuerà. E con essa probabilmente continueranno anche gli attacchi jihadisti alla Turchia.