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DOPO IL VOTO

Turchia, perché il partito islamico di Erdogan ha perso

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Sono elezioni solo amministrative, ma i risultati sono importanti: l'Akp, il partito islamico turco di Erdogan è stato battuto dal laico Chp. Le ragioni vanno dall'economia alla retorica. 

Esteri 03_04_2024
La festa del Chp a Istanbul (La Presse)

Due giorni dopo il voto nelle elezioni amministrative, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è ancora al potere, ma ha perso il controllo di gran parte del territorio. A tenere le grandi città (Istanbul, Smirne e la capitale Ankara) e a conquistare elettoralmente anche altre regioni rurali, è il partito laico repubblicano Chp.

Ad Istanbul, capitale economica turca, è stato rieletto il suo sindaco Ekrem Imamoglu. «Dobbiamo capire bene questo messaggio, perché chi non lo fa perderà il suo posto nel cuore delle persone», ha detto nel suo discorso della vittoria, alla fine del conteggio dei voti. Nonostante la magistratura lo avesse condannato a due anni nel 2022 (pena sospesa) per “insulto a pubblico ufficiale” e nonostante sia tuttora sotto processo con l'accusa di "manipolazione di gare d'appalto", ha vinto con un ampio margine di 1 milione di voti, battendo il candidato del partito islamico Akp Murat Kurum, ex ministro dell’Ambiente. La vittoria di Istanbul è simbolica, per l’importanza che riveste la città. Ma il Chp festeggia soprattutto per aver conquistato collegi che fino alla settimana scorsa erano roccaforti dell’Akp. Il presidente Erdogan ha ammesso la sconfitta: «Correggeremo i nostri errori e rimedieremo alle nostre mancanze», ha dichiarato dopo aver visto i risultati.

Sebbene Erdogan sia al potere (prima da premier, poi da presidente) da oltre vent’anni e abbia il controllo di tutta la macchina dello Stato, benché abbia acquisito un potere quasi dittatoriale dopo il fallito golpe del 2016 che aveva provato a spodestarlo, il voto alle amministrative dimostra che la Turchia è ancora contendibile. Lo dimostra ancor meglio rispetto alle ultime elezioni presidenziali, quelle in cui Erdogan era stato riconfermato, ma di misura. Gli osservatori attribuiscono a questa sconfitta nel voto locale almeno tre significati differenti. Il primo è il fallimento dell’economia del partito islamico.

Erdogan, per tentare di uscire dalla stagnazione, ha messo mano soprattutto alla stampante monetaria. Ma aumentando la liquidità circolante, la lira turca ha perso valore (l’83% in meno, rispetto al dollaro, negli ultimi cinque anni) e l’inflazione ha fatto esplodere i prezzi. Per affrontare un’inflazione ormai fuori controllo, il governo ha ordinato alla Banca Centrale di alzare i tassi. Ma in questo modo, l’improvvisa frenata monetaria ha creato problemi gravi all’economia reale. Con l’aumento repentino del costo del denaro, infatti, la maggior parte degli imprenditori è entrata in sofferenza.

Non si parla solo di economia, ma anche di retorica. Il presidente ha infatti spinto molto sulla polarizzazione nella politica turca: o con me o contro di me. Come negli anni dopo il fallito golpe, ha trattato da traditori e nemici della Turchia i suoi avversari politici. Il maggior partito di opposizione, il Chp, di estrazione kemalista (dunque laico e repubblicano) ha saputo sfruttare la polarizzazione e ha trasformato le elezioni locali in un voto di ribellione contro Erdogan. Così facendo è riuscito a catalizzare il voto di tutte le opposizioni, paradossalmente anche quello della minoranza curda, che pure è nemica naturale del nazionalismo turco.

Questo vuol dire che la Turchia si sta ribellando all’islamizzazione, avviata da Erdogan? È ancora troppo presto per dirlo. Questa volta, si può dire, il voto islamico è stato meno compatto del solito. Oltre all’Akp si è presentata un’altra formazione, il Partito del Benessere, guidata dal figlio di Erbakan, leader storico dell’islamismo turco degli anni Novanta. Inizialmente sottovalutata, benché forza minoritaria, è stata sufficiente a portare via una fetta di voti di scontenti dell’Akp che vi hanno visto una valida alternativa.

La vittoria del Chp, che supera, su scala nazionale, i voti presi dall’Akp (il 37,8% contro il 35,5%), è comunque oggettivamente una vittoria dei laici sul prolungato dominio islamico in Turchia. Ed offre le potenzialità per un cambiamento di rotta epocale, importante anche per l’Europa dove le comunità di immigrati turchi (e musulmani, in generale) sono sempre più condizionate dalla rete capillare di moschee e centri culturali finanziati dal governo di Erdogan.