Trump sospende gli aiuti al Sudafrica e non va al G20
Nonostante le speranze del presidente Cyril Ramaphosa, partenza in salita nei rapporti fra il Sudafrica e gli Usa di Trump. Aiuti sospesi e niente presenza americana al G20, a causa della legge che espropria le terre (dei bianchi) senza indennizzo.
![Cyril Ramaphosa (La Presse) Cyril Ramaphosa (La Presse)](https://lanuovabq.it/storage/imgs/ramaphosa-large-0.jpg)
A novembre alcuni Stati africani avevano accolto piuttosto male la notizia che Donald Trump aveva vinto le elezioni. Uno dei governi più preoccupati per le conseguenze è stato probabilmente quello del Sudafrica che negli ultimi anni più volte con le parole e con i fatti si è schierato con la Russia e con la Cina su questioni di rilevanza internazionale e inoltre ha accusato Israele di genocidio e lo ha denunciato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia per come ha reagito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa si era affrettato a congratularsi con Trump appena l’esito del voto Usa era stato annunciato: «non vedo l’ora di continuare la stretta e reciprocamente vantaggiosa partnership tra i nostri due paesi in tutti gli ambiti della cooperazione» aveva dichiarato. Poi, parlando a Davos, durante il World Economic Forum, aveva ribadito la sua fiducia: «non mi preoccupano i nostri rapporti – ha assicurato – mi sono congratulato con lui e abbiamo detto entrambi che non vediamo l’ora di continuare a collaborare».
Ma uno dei primi atti del presidente Trump nei confronti di uno Stato africano riguarda proprio il Sudafrica e non va nella direzione auspicata dal presidente Ramaphosa. In particolare il presidente sudafricano diceva di confidare nell’impegno comune nell’ambito del G20, il cui prossimo vertice riunirà i ministri degli esteri dei paesi membri il 20 e 21 febbraio in Sudafrica perché il paese ne detiene la presidenza fino al novembre del 2025 dopo di che passerà agli Stati Uniti.
Invece il 6 febbraio il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, ha annunciato che non parteciperà al vertice, a seguito dei problemi sopravvenuti nei rapporti tra il suo paese e il Sudafrica. Di che cosa si tratta lo aveva spiegato tre giorni prima il presidente Trump quando ha detto di avere intenzione di tagliare i fondi al Sudafrica perché “certe categorie di persone vengono trattate molto male” dal governo sudafricano.
All’origine della decisione di Trump non ci sono le alleanze stipulate dal Sudafrica negli anni trascorsi nè l’accusa di genocidio a Israele. La sua reazione è stata determinata dall’entrata in vigore il 24 gennaio di una legge che consente al governo sudafricano di sequestrare dei terreni senza indennizzi. Si tratta di una legge controversa di cui si discuteva da anni e che non vede affatto unanime il governo sudafricano. Il fatto è che potrebbe aprire la strada alla confisca dei terreni agricoli che continuano a essere in gran parte di proprietà dei cittadini sudafricani bianchi. Le forze politiche di sinistra chiedono una riforma agraria che faccia giustizia per la popolazione nera, sostenute anche da molti esponenti dell’Anc, il partito di Mandela al governo dalla fine dell’apartheid, che usano demagogicamente questa rivendicazione per dirottare sulla questione terriera l’attenzione della popolazione sempre più insofferente, frustrata e arrabbiata a causa delle promesse di sviluppo tradite.
L’Anc ha definito la legge una “pietra miliare” decisiva per il cambiamento del paese. La legge, assicura il presidente sudafricano, autorizza l’esproprio senza indennizzo solo in circostanze in cui farlo sia “giusto, equo e nell’interesse pubblico”. È chiaro che chi l’ha voluta ritiene che non ci sia niente di più giusto, equo e di pubblico interesse che espropriare le terre dei bianchi e ridistribuirle. Ma lo Zimbabwe, che lo ha fatto 25 anni fa, dovrebbe servire di lezione. Come in Sudafrica, anche nel vicino Zimbabwe i bianchi erano proprietari di grandi estensioni di terra, coltivate e bene amministrate. Sottratte ai bianchi, in parte sono diventate incolte, in parte sono state frammentate e affidate a famiglie che, invece di produrre per il mercato, le coltivano con scarsi risultati, le usano per colture di sussistenza. È stato l’inizio di una crisi economica che dura tuttora e che ha ridotto in miseria uno dei paesi africani più ricchi e stabili. Non ha rimediato a ingiustizie razziali e ha ingiustamente mandato in rovina migliaia di famiglie di bianchi.
Trump non vuole che questo succeda anche in Sudafrica, almeno non con l’avallo degli Stati Uniti. Per questo intende sospendere gli aiuti al paese in attesa di chiarimenti. Durante la precedente amministrazione aveva manifestato anche l’intenzione di indagare sulle numerose uccisioni di agricoltori bianchi e all’epoca il governo sudafricano aveva replicato sostenendo che Trump era male informato. Lo dice anche adesso e cerca di rassicurare lui e l’opinione pubblica internazionale affermando che la legge appena approvata è simile a quelle già in vigore di tanti altri paesi. Ha chiesto aiuto persino al padre di Elon Musk, che abita in Sudafrica, per avere uno contatto telefonico con il figlio, braccio destro di Trump.
Sta di fatto che, con questo primo atto riguardante uno Stato africano, Trump mantiene fede agli impegni presi durante la campagna elettorale, uno dei quali, primario, è decidere, nell’interesse degli Stati Uniti e a tutela dei suoi valori fondanti, se e a chi offrire aiuto, se e con chi stipulare alleanze, chi considerare nemico e come regolarsi nei suoi confronti.
Un secondo intervento nel continente africano, a pochi giorni dall’insediamento, va nella stessa direzione. Con un attacco aereo, il 1° febbraio gli Stati Uniti hanno colpito una cellula dell’Isis formatasi nel Puntland, uno dei cinque Stati federati della Somalia. Nel corso del raid sono stati uccisi diversi esponenti del gruppo jihadista, delle “figure chiave”, secondo Washington. Il messaggio di questa piccola operazione mirata è che il jihad, ovunque si insedi e operi, è nemico degli Stati Uniti e dei suoi alleati, che contro di esso devono essere concentrati mezzi e risorse e che gli Stati Uniti vogliono e possono farlo. «Questi assassini, che abbiamo trovato nascosti nelle caverne, erano una minaccia per noi e per i nostri alleati – ha scritto Trump su X – gli attacchi hanno distrutto le caverne in cui vivono e hanno ucciso molti terroristi senza in alcun modo danneggiare dei civili. Il messaggio all'ISIS e a chiunque altro voglia attaccarci è: ‘vi troveremo e vi uccideremo’”.