Trump mira al libero scambio. L'Ue... un po' meno
Una tregua di 120 giorni nella guerra commerciale. Poi si vedrà. E’ questo il senso dell’accordo raggiunto fra il presidente Usa Donald Trump e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Si "barattano" gas e semi di soia americani contro auto europee. Trump mira all'obiettivo "dazi zero". E l'Ue?
Una tregua di 120 giorni nella guerra commerciale. Poi si vedrà. E’ questo il senso dell’accordo raggiunto fra il presidente Usa Donald Trump e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, dopo il colloquio amichevole di ieri a Washington. Si “barattano” auto con gas e semi di soia e si attendono tempi migliori in cui siglare un accordo sul libero commercio molto più ampio. Entrambe le parti cantano vittoria.
Il braccio di ferro fra Ue e Usa era incominciato il 1 giugno con l’imposizione delle tariffe statunitensi su alluminio e acciaio. Non solo l’Ue veniva colpita, ma anche i partner del Nafta, dunque Canada e Messico. Si trattava solo di una prima mossa, anche ampiamente contestata dallo stesso Partito Repubblicano, che tuttora non vede di buon occhio una guerra commerciale contro partner e alleati tradizionali degli Stati Uniti e, piuttosto, chiede di serrare i ranghi contro il comune rivale, la Cina. Ma Trump non si è limitato ad acciaio e alluminio e ha rilanciato: dazi anche sulle auto. Da notare: l’Ue impone tariffe sull’importazione delle auto dagli Stati Uniti, del 10% sulle utilitarie e del 22% sui pickup (che i regolamenti europei considerano come “camion”), Trump ha risposto con misure analoghe. Il fatto stesso di minacciare tariffe sulle auto ha preoccupato molto l’industria automobilistica dei paesi europei e in particolar modo della Germania, che è la maggior esportatrice. E di qui è nata la volontà di tornare al tavolo dei negoziati. Trump, sotto questo aspetto, ha ragione a cantare vittoria: è bastata una minaccia per tornare a trattare da sue posizioni di forza.
Anche l’Ue, comunque, canta vittoria e ha le sue ragioni per farlo. Infatti, le tariffe sulle auto sono congelate per 120 giorni, in cambio dell’impegno europeo ad acquistare gas liquido e semi di soia dagli Stati Uniti. Il primo conviene, anche da un punto di vista strategico, perché è il miglior sostituto al gas importato dalla Russia (che è sempre un problema politico). Quanto ai semi di soia, la loro importazione è già libera da tariffe e da sussidi. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire, comunque, tiene a precisare che ogni futuro accordo dovrà tener conto degli standard dell’Ue su “salute, cibo e ambiente”. L’accento posto da Trump sui semi di soia è motivato dagli effetti collaterali della guerra commerciale con la Cina, che ha risposto alle tariffe americane colpendo soprattutto i prodotti agro-alimentari. Quindi, anche da questo punto di vista, l’Ue si sente in una posizione di forza, accogliendo una richiesta di aiuto di un settore che sta entrando in crisi.
L’accordo fra le due parti va comunque inteso come provvisorio e i suoi termini sono vaghi. Non viene fissata alcuna quota di acquisti europei di semi di soia o di gas: “Non ci stiamo trasformando in un’economia sovietica”, ha commentato a botta calda un funzionario europeo. Lo scambio fra i prodotti d’esportazione americani e le auto europee è una tregua, appunto. Una dimostrazione di buona volontà delle parti per giungere a un nuovo accordo sul commercio. L’impegno comune è di produrre un rapporto fra 120 giorni, che faccia da cornice a un futuro trattato.
Contrariamente alle apparenze, il presidente Trump non mira affatto a un’economia protezionista. Come ha sottolineato anche in occasione del suo incontro con Juncker, vuole arrivare all’obiettivo “dazi zero”, dunque a un commercio completamente libero fra Usa e Ue. Le sue misure restrittive sono dunque da intendersi come armi, per punire i disequilibri delle regole fra le due parti. Se l’Ue impone tariffe protezionistiche, anche gli Usa risponde in egual misura, finché i dazi non spariscono da entrambe le parti. Questa, in sintesi, è la strategia americana sotto questa amministrazione. C’è da chiedersi, piuttosto, quanto sia disposta l’Ue a raggiungere questo obiettivo. Perché la Francia non accetta (non lo ha mai fatto) un libero commercio di prodotti agricoli. La Germania non ha intenzione di perdere il suo vantaggio di nazione esportatrice. I sindacati non accettano la concorrenza del mondo del lavoro americano. Gli ambientalisti, forti in tutta Europa, temono i prodotti americani. Tutti i membri dell’Ue si sono dimostrati molto gelosi delle proprie regole e refrattari a un commercio veramente libero con l’altra parte dell’Atlantico. Non va dimenticato che, benché Trump fosse contrario al TTIP (il trattato transatlantico di libero scambio Usa-Ue), questo era già naufragato a causa della forte opposizione europea, di Francia e Germania in particolar modo. Chi è il vero protezionista, allora?