Trump lancia la guerra mondiale contro i Signori del clima
Un ordine esecutivo blocca il Piano Obama contro i cambiamenti climatici, ritenuto dannoso per l'economia americana e senza risultati per l'ambiente. L'iniziativa dell'amministrazione Trump intende invece privilegiare l'indipendenza energetica, salvando i posti di lavoro e migliorando gli indici ambientali. Una sfida che non riguarda solo gli Stati Uniti.
Quando si sente l’ex vice-presidente americano Al Gore affermare con sicurezza che la Brexit (l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea) è conseguenza dei cambiamenti climatici, anche un profano sarebbe portato a simpatizzare con il presidente Usa Donald Trump che ha deciso di annullare tutti gli impegni presi dal suo predecessore Barack Obama in fatto di politiche del clima.
Il teorema di Gore - che lo ha esposto pochi giorni fa presentando il sequel del video catastrofista “Una verità sconveniente” – è degno della Fiera dell’Est di Angelo Branduardi: la decisione del popolo britannico sarebbe la conseguenza delle tensioni in Europa causate dai conflitti mediorientali, a sua volta provocati dalla guerra in Siria, la cui origine starebbe in una forte migrazione interna causata dalla siccità che avrebbe colpito la Siria negli anni scorsi, ovviamente provocata dai cambiamenti climatici.
È incredibile come la panzana della guerra in Siria che sarebbe stata causata dai cambiamenti climatici continui a essere ripetuta da importanti autorità internazionali malgrado ci siano prove evidenti della sua falsità (clicca qui per l’approfondimento), anche se basterebbe il buon senso. Ma addirittura attribuire a questo l’esito del referendum britannico sull’adesione all’Unione Europea è surreale. In altri tempi si sarebbe prescritto il ricovero immediato, oggi invece si è riveriti come autorità nel campo climatico.
Se queste sono le basi delle politiche per contrastare i cambiamenti climatici, allora si capisce come sia da prendere molto più sul serio la posizione dell’attuale presidente Trump che giudica la storia dei cambiamenti climatici una bufala e ha appena cancellato con un ordine esecutivo – chiamato “Energy Independence”, indipendenza energetica - il Clean Power Plan (Piano per l’energia pulita) voluto da Obama. In questo modo viene eliminato il tetto alle emissioni di anidride carbonica (CO2) stabilito in ossequio agli accordi di Parigi sul clima e vengono tagliate le sovvenzioni statali alle energie rinnovabili. «Poniamo così termine alla guerra al carbone», ha sintetizzato Trump. Il carbone infatti, che tuttora è una fonte che conta per oltre il 30% del fabbisogno nazionale americano, sarebbe stata la prima vittima del piano Obama che prevedeva una riduzione di emissioni di gas serra entro il 2030 del 32% rispetto ai livelli del 2005.
Il costo del piano Obama – secondo le stime dell’agenzia americana per l’ambiente (Epa) - varia dai 7.3 agli 8.8 miliardi di dollari annui. In realtà il Clean Power Plan è stato già bloccato dal ricorso di 28 stati che contestano l’intrusione del governo federale nelle decisioni dei singoli stati quanto al mix energetico più adeguato da perseguire. Allo stesso tempo, c’è da aspettarsi che altri stati portino in tribunale le decisioni del governo Trump, visto che ora il Clean Power Plan dovrà essere riscritto secondo le indicazioni dell’ordine esecutivo di Trump, e che i governatori democratici faranno di tutto per rendere la vita difficile al presidente.
Contrariamente a quello che si vuol fare credere lo scontro non è tra chi ha a cuore l’ambiente e chi il solo profitto. E la questione non è solo un problema interno americano.
In questo l’amministrazione Trump riprende la linea che era già dell’amministrazione Bush, partendo dal presupposto che non è assolutamente vero che gli scienziati siano concordi nel ritenere la concentrazione di gas serra e in particolare la CO2 la causa principale del riscaldamento globale. Peraltro proprio il riscaldamento globale si sta dimostrando un fenomeno di molto inferiore a quello che i modelli al computer prevedevano negli anni passati. Al contrario, sono migliaia gli studiosi impegnati nelle scienze che hanno a che fare con il clima che sostengono la marginalità della CO2 nei processi di formazione del clima. In effetti, anche solo guardando ai gas serra, il 95% è costituito dal vapore acqueo.
In ogni caso la scienza non ha affatto certezze né riguardo alla evoluzione futura del clima né riguardo all’impatto che i cambiamenti climatici (che sono un fenomeno assolutamente naturale) possono avere sui fenomeni atmosferici.
Su questa base appare assurdo lanciarsi in investimenti stratosferici dai risultati più che incerti in fatto di clima. Per avere un’idea basti pensare che un recente studio commissionato dall’American Council for Capital Formation e dall’Istituto della Camera di Commercio USA, ha stimato che gli impegni presi da Obama come parte degli accordi di Parigi potrebbero costare all’economia americana 3 trilioni di dollari e 6.5 milioni di posti di lavoro nel settore industriale da qui fino al 2040. Nel giro di dieci anni, dice ancora lo studio, la perdita del lavoro si concentrerebbe in quattro stati chiavi per la manifattura: 74mila posti in Michigan, 53mila in Missouri, 110mila nell’Ohio, 140mila in Pennsylvania.
Quanto all’ambiente i vantaggi sarebbero irrilevanti, soprattutto perché tali investimenti puntano soltanto alla riduzione delle emissioni di CO2, che non è un inquinante (anzi è un elemento essenziale per la vita) ma viene ritenuto un climalterante (non da tutti, come abbiamo visto).
La amministrazione Trump invece, dalle prime mosse, sembra riprendere il discorso già sviluppato dall’amministrazione Bush, ovvero puntare sulla riduzione dell’inquinamento ma senza mettere a rischio i posti di lavoro e soprattutto puntando all’indipendenza energetica, una questione chiave per la sicurezza nazionale.
La guerra sul clima, però, non è solo un fatto interno degli Stati Uniti. La questione è globale, e non soltanto per le implicazioni che potrebbe avere sugli accordi di Parigi se gli Usa si ritirassero (in ogni caso non potrebbe accadere prima di due anni). Anche alcuni paesi europei, spinti dalla crisi economica, hanno cominciato a ripensare certi impegni legati agli accordi di Parigi. Basti pensare che solo nel 2015, le spese globali per fermare il riscaldamento globale ammontavano a 1.5 trilioni di dollari, all’incirca 4 miliardi di dollari al giorno. Il problema è soprattutto nell’investimento sulle energie rinnovabili. Per quanto negli ultimi anni sia molto migliorata l’efficienza di queste energie, sole e vento costano ancora da 5 a 10 volte più dei combustibili fossili e in ogni caso sono lontanissimi dal potere soddisfare l’attuale domanda di energia.
Per cui è abbastanza probabile che, aldilà delle prese di posizione ufficiale che dovendo rispettare il “politicamente corretto” dovranno essere di condanna per le decisioni di Trump, l’esempio americano sarà seguito più o meno discretamente da altri paesi industrializzati.