Trump compra la Groenlandia? Non è uno scherzo
Secondo un rumor tanto attendibile da essere rilanciato da tutta la stampa mondiale, il presidente Donald Trump starebbe pensando di comprare la Groenlandia. Vista così parrebbe una notizia estiva, uno scherzo insomma. Ma le implicazioni strategiche nella nuova guerra fredda con la Cina, sono importantissime.
Secondo un rumor abbastanza attendibile, tanto da essere rilanciato da tutta la stampa mondiale, il presidente Donald Trump starebbe pensando di comprare la Groenlandia. Vista così parrebbe una notizia estiva, uno scherzo insomma: un presidente e imprenditore miliardario che vuol passare alla storia comprandosi un territorio artico, coperto da ghiacci perenni, grande quanto la metà della superficie europea. Ma pare che non sia uno scherzo e le implicazioni strategiche sono estremamente importanti.
La Groenlandia è ancora parte della Danimarca, anche se è completamente autonoma, fatta eccezione per la politica estera. Ma è anche, dalla Guerra Fredda in poi, un’importante base militare statunitense. A Thule l’aviazione americana ha il suo avamposto più settentrionale. E’ di fondamentale interesse perché include uno dei radar di prima allerta per i missili balistici intercontinentali, controllati dal Norad (il comando aerospaziale di Cheyenne Mountain) che ha il compito essenziale di tracciare l’eventuale arrivo dei missili. Tale eventualità, in questo mezzo secolo, non si è mai verificata, per fortuna, ma i radar di primo allarme sono l’architrave della deterrenza data la loro capacità di identificare il pericolo per tempo e dare il modo, all’aggredito, di rispondere adeguatamente. La Groenlandia ha invece un valore economico che parrebbe nullo, anzi in perdita. Il 60% del suo bilancio dipende dagli aiuti forniti dalla Danimarca, pari a 532 milioni di euro all’anno. La popolazione conta appena 56mila abitanti, non autosufficiente, ma sempre meno contenta di essere sotto il governo di Copenaghen: il movimento indipendentista è molto attivo. Tuttavia in Groenlandia sono presenti, sotto il suolo e sotto il ghiaccio, risorse che finora non sono state sfruttate, fra cui le terre rare, nuovo tesoro che la Cina (in Africa e altrove) vorrebbe monopolizzare.
Per quanto strano possa sembrare, la Groenlandia in questi ultimi due anni avrebbe potuto diventare una sorta di provincia cinese. Il governo autonomo locale, nel 2017, ha chiesto alla Danimarca i fondi necessari per costruire tre nuovi aeroporti e non li ha ottenuti. Allora ha chiesto a Pechino e il regime cinese, ben volentieri, ha iniziato a sviluppare il piano di infrastrutture del valore di mezzo miliardo di euro. All’incirca quanto spende la Danimarca ogni anno per mantenere i cittadini del suo remoto territorio. Alla quasi indifferenza danese, ha risposto immediatamente il governo federale statunitense, che non avrebbe mai accettato la presenza cinese così a ridosso della sua importante base e a non troppa distanza dalle sue coste. Nel 2018, facendo pressione sulla Danimarca, il governo statunitense ha ottenuto che venisse bloccato il progetto degli aeroporti cinesi, facendo presente due cose: come è successo nello Sri Lanka, la Cina si impossessa delle infrastrutture che non vengono pagate dal cliente, quindi gli aeroporti, se la Groenlandia non avesse più potuto pagare, sarebbero diventati cinesi; secondo e più importante: una volta nelle mani della Cina, nessuno avrebbe potuto impedire alla Cina di trasformarli in basi aeree militari. Ciò avrebbe creato una breccia nel sistema difensivo americano che, come abbiamo visto prima, in Groenlandia ha una base di fondamentale importanza. Sarebbe stata poi la Cina, nel medio e lungo periodo, ad accaparrarsi il “tesoro” nascosto sotto i ghiacci, dunque terre rare, oro, ferro, gas e petrolio.
Secondo i rumor riportati dalla stampa internazionale, l’idea di Trump nasce da una crisi della Danimarca, che parrebbe non ritenere più sostenibile il mantenimento della popolazione della Groenlandia. Specialmente a fronte di un movimento indipendentista sempre più forte, a Copenaghen si starebbero domandando per quanti anni ancora può essere speso quel mezzo miliardo di euro. Questo “malessere” non è dichiarato, ma l’intrusione di Pechino in un territorio agli antipodi dalla Cina è un sintomo grave. E’ in questo contesto che andrebbe letta l’offerta di Trump. Prima di tutto serve ad assicurare il fianco settentrionale degli Usa, in secondo luogo a tenere la Cina lontana da un’isola strategica che può rivelarsi anche ricca di risorse e diventare così una “potenza artica”. Ai rumor non sono seguite, ovviamente, risposte ufficiali. Ma come era prevedibile la Danimarca e il governo locale groenlandese replicano che la loro terra “non è in vendita”. Dipenderà dall’offerta. E da quanto la Danimarca voglia o possa sfruttare quel territorio artico in futuro. L’Unione Europea, che potrebbe far sentire la sua voce, per ora sta a guardare, a giudicare dai titoli dei media europei, la mossa di Trump non è stata presa sul serio. Viene descritta niente più che come una boutade di un miliardario eccentrico. A settembre si vedrà: è prevista la visita di Stato del presidente americano alla Danimarca, quindi può essere l’occasione giusta per vedere se stava scherzando o se fa sul serio. Non sarebbe la prima volta, ma la terza: nel 1946 fu il presidente Truman a offrire l’acquisto della Groenlandia dalla Danimarca e nel 1867 gli Usa offrirono l’acquisto, sempre dalla Danimarca, di Groenlandia e Islanda. In caso di vendita, la Groenlandia diverrebbe l’Alaska dell’Atlantico.