Trump, a Varsavia, torna a difendere l'Occidente
Ogni volta che Barack Obama teneva un discorso, i media europei erano subito pronti a definirlo “storico”. Trump gode di minori simpatie nelle redazioni di tutto il mondo, ma il suo discorso a Varsavia è quantomeno coraggioso. Per il luogo in cui l'ha detto, per il momento in cui l'ha pronunciato. E per i suoi contenuti.
Ogni volta che Barack Obama teneva un discorso, i media europei erano subito pronti a definirlo “storico”. Non capita lo stesso con Donald Trump, che non gode affatto dello stesso credito presso le redazioni di tutto il mondo occidentale. Ieri, anche se magari non si è trattato di un discorso propriamente “storico” (come non lo erano neppure quelli di Obama, a dire il vero), il discorso di Trump ai polacchi è stato quantomeno coraggioso.
Almeno per tre validi motivi. Il primo è il dove: la Polonia era l’alleato più snobbato da Barack Obama nei suoi due mandati. Non solo non aveva celebrato il 70mo dell’invasione nella Seconda Guerra Mondiale, che cadeva proprio nel suo primo anno di amministrazione, ma era arrivato a cancellare l’impegno americano per lo scudo anti-missile in territorio polacco proprio nel giorno in cui cadeva l’anniversario dell’invasione sovietica. E non si trattava solo di una sfortunata coincidenza di date. La Polonia è sempre stata vista come una nazione “divisiva”, per le sue forti prese di posizione nei confronti sia dell’Ue che della Russia. E l’amministrazione liberal, che in generale snobbava l’Europa, in particolare snobbava una nazione europea così assertiva e orgogliosa. Il secondo motivo è il quando: proprio in questi mesi, il governo conservatore di Varsavia è più isolato che mai nell’Ue. Non solo per le sue riforme, che sono giudicate addirittura lesive dello Stato di diritto dai membri occidentali dell’Unione, ma anche per il suo secco rifiuto a partecipare alla politica di redistribuzione degli immigrati. Terzo: per il contenuto. Trump, in Polonia e ai polacchi, è andato a parlare di argomenti forti: del comunismo, dell’islam e dell’Occidente, per la prima volta dopo otto anni di sedazione politicamente corretta. E’ andato a parlare anche di affari, come ci si poteva perfettamente attendere da un imprenditore: ha offerto il gas americano ai polacchi, per smarcarsi dalla dipendenza della Russia. Ma il suo viaggio a Varsavia non può essere ridotto a uno spot commerciale, come i critici del presidente già iniziavano a fare ancor prima che aprisse bocca. Il messaggio politico e culturale che ha lanciato è molto forte.
Il primo piatto forte del discorso è appunto il comunismo. Trump esordisce col ricordo di un fatto storico che pochi, in Occidente, studiano o anche solo conoscono: “Nel 1920, nel Miracolo della Vistola, la Polonia fermò l’esercito sovietico lanciato alla conquista dell’Europa”. Ed è il primo omaggio che il presidente americano rende alla nazione-baluardo. Nella guerra sovietico-polacca del 1919-1921, in effetti, senza la resistenza polacca avremmo avuto un’altra Europa. Lenin era convinto che il momento dell’esportazione della rivoluzione fosse giunto. Solo dopo la sconfitta sulla Vistola, iniziò il lento ripiegamento verso il “socialismo in un solo paese”, che avrebbe poi caratterizzato gli anni di Stalin e permesso all’Europa (anche a quella centrale) un altro ventennio di respiro. Sulla Seconda Guerra Mondiale, Trump ricorda i crimini del comunismo, le deportazioni e l’eccidio degli ufficiali polacchi di Katyn. E non dimentica la pugnalata alla schiena che Stalin diede agli insorti di Varsavia (il discorso, fra l’altro, l’ha tenuto proprio di fronte al monumento a loro dedicato): “Questo monumento ci ricorda che più di 150mila polacchi morirono durante quella disperata lotta per scacciare l’oppressore. Dall’altra parte del fiume, le forze armate sovietiche si fermarono e attesero. Guardavano i nazisti distruggere brutalmente questa città, uccidere uomini, donne e bambini. Essi cercarono di distruggere questa nazione per sempre, di annientare la sua determinazione a sopravvivere”.
Il secondo piatto forte è il cattolicesimo quale fattore di identità nazionale. Tema tutt’altro che scontato. “Quando arrivò il giorno, il 2 giugno 1979 e un milione di polacchi si riunì in Piazza della Vittoria per la loro prima messa con il loro Papa polacco, quel giorno, ogni comunista a Varsavia deve aver capito che il suo sistema oppressivo sarebbe ben presto collassato. Lo deve aver capito nel momento stesso in cui, durante l’omelia di papa Giovanni Paolo II, un milione di polacchi, uomini, donne, bambini, all’improvviso levarono la loro voce in una sola preghiera. Un milione di polacchi non chiedeva benessere. Non chiedeva privilegi. Un milione di polacchi scandì tre sole parole: Noi Vogliamo Dio”. E “Con papa Giovanni Paolo II, I polacchi hanno riaffermato la loro identità di nazione devota a Dio”.
Dopo il comunismo, la minaccia del presente è identificata nel radicalismo islamico: “Un’altra ideologia oppressava, che cerca di esportare il terrorismo e l’estremismo in tutto il mondo. L’America e l’Europa hanno sofferto di un attacco terroristico dopo l’altro. Dobbiamo fermarla (…) Stiamo combattendo duramente contro il terrorismo dei radicali islamici e vinceremo”.
Sulla Russia, tema quanto mai sensibile in Polonia, Trump deve affrontare una sfida su se stesso. Perché è sempre più diffusa, mediaticamente, l’idea (ancora tutta da provare) che siano i russi ad aver determinato la sua vittoria elettorale (si veda tutto il dossier Russiagate). Trump ha fugato diversi timori locali ribandendo la sua alleanza con i polacchi, ma soprattutto richiamando Mosca alla sua responsabilità: “Sollecitiamo la Russia a cessare le sue attività di destabilizzazione in Ucraina e altrove e il suo sostegno a regimi ostili, fra cui Siria e Iran, di unirsi alla comunità di nazioni responsabili che combattono contro comuni nemici, in difesa della civiltà stessa”. Non un discorso pienamente ostile, ma neppure quell’atteggiamento da “burattino” dei russi che molti, pregiudizialmente, attribuiscono al presidente Usa.
Ma un altro argomento forte e finora mai affrontato da un presidente americano sin dai tempi di Reagan è la lotta al potere tecnocratico della burocrazia, che Trump definisce un “nemico” di nostra responsabilità. “La minaccia è invisibile, ma ben nota ai polacchi: la crescita strisciante di una burocrazia statale che succhia le nostre risorse vitali e la ricchezza del popolo. L’Occidente è diventato grande, non a causa di carte bollate e regolamenti, ma perché a ciascuno è permesso di inseguire i suoi sogni e perseguire il suo destino”. Ed è questo il senso che Trump dà all’Occidente: “Americani, polacchi e le altre nazioni dell’Europa valorizzano la libertà individuale e la sovranità (…) Noi, prima di tutto, valorizziamo ogni vita umana, proteggiamo i diritti di ogni persona, condividiamo la speranza nutrita da ogni anima di vivere liberamente. Questo è ciò che siamo. Questi sono gli impagabili legami che ci legano come nazioni, come alleati e come civiltà”. Parola così, dalle nostre parti, si sentono raramente. Ormai.