L'EDITORIALE
Tripoli vale più di Islamabad?
Governi e media concentrati su Gheddafi e la Libia, mentre ignorano l'uccisione del ministro cattolico in Pakistan. Ecco perché sbagliano e come reagire a questa manipolazione dell'opinione pubblica.
Editoriali
04_03_2011
Da giorni i misfatti di Gheddafi riempiono gli spazi di tg e gr e le pagine dei giornali. Tutti i governi e i leader politici si stanno cimentando in una sorta di gara per dimostrare di essere i più duri e intransigenti contro il leader libico, e ieri anche la Corte internazionale dell’Aja ha aperto un fascicolo contro Gheddafi per crimini contro l’umanità. Gli Stati Uniti hanno addirittura avvicinato due navi da guerra alle coste libiche: per ora non si parla di intervento militare, ma la minaccia è lì.
Contemporaneamente in Pakistan un gruppo di fondamentalisti islamici uccide il ministro per le Minoranze religiose, un cattolico che si spendeva contro la persecuzione. E il fatto, gravissimo, non merita neanche un titolo al TG1 delle 20, e sulla grande stampa la notizia ha un rilievo tutto sommato ridotto e certamente limitato nel tempo.
Si dirà: è un episodio grave sì, ma isolato. Niente affatto, così come Gheddafi non è diventato cattivo solo nelle ultime settimane. La barbara uccisione del ministro Shahbaz Bhatti segue di pochi mesi quella del governatore del Punjab e soprattutto è la classica punta dell’iceberg, fatto di una violenta persecuzione dei cristiani, di attentati e massacri tra sciiti e sunniti, di un governo letteralmente ricattato dai gruppi più estremisti che stanno facendo precipitare il Pakistan tra i paesi più insicuri e violenti al mondo.
Qualcuno potrebbe dire: sì, va bene, ma la Libia è qui ai nostri confini, le conseguenze di quel che accade lì ricadono anche su di noi; il Pakistan invece è lontano, sarà una situazione grave ma in fondo non ci tocca da vicino. Ma non è esatto neanche questo: il Pakistan, e più precisamente i suoi servizi di sicurezza, è la forza che sta dietro ai taleban, quelli che in Afghanistan ammazzano i nostri soldati e che rendono impossibile un’opera di pacificazione della regione; ed è anche uno dei paesi che ha sviluppato l’arma nucleare in barba al Trattato di non proliferazione, con conseguenze potenzialmente gravissime per la stabilità mondiale, visto soprattutto chi detiene il potere reale in quel paese.
Il Pakistan in realtà è l’ennesima dimostrazione che la libertà religiosa è il termometro per misurare tutte le altre libertà e l’affidabilità di un governo. In particolare, laddove i cristiani sono perseguitati non sono solo loro a subire le conseguenze, ma è meno sicura tutta la società.
Di fronte a questa situazione non può non saltare agli occhi l’atteggiamento strabico dell’Unione Europea, lo stridente contrasto tra l’improvviso attivismo contro Gheddafi e l’assoluta indifferenza davanti a quanto accade in Pakistan; tra la rapidità – anche un po’ sospetta - nel decidere blocco dei beni, sanzioni e così via contro il Colonnello, e i due mesi di negoziato tra i ministri degli esteri per approvare uno striminzito documento - originalmente nato per condannare le persecuzioni dei cristiani in Medio Oriente – in cui si ha addirittura paura a pronunciare la parola “cristiani”.
E seguendo l’inadeguatezza di politici e governi, ecco la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso un modo di costruire i notiziari che crea eroi e mostri a seconda della convenienza politica del momento e nasconde eventi e processi che per il nostro futuro sono ben più decisivi.
Sarebbe ben sterile se queste considerazioni si risolvessero nella solita recriminazione contro stampa e politici. E’ importante invece che ognuno si assuma l’impegno e la responsabilità di guardare – nei grandi fatti della politica così come nelle piccole cose della vita quotidiana - a ciò che davvero conta.