Trilioni di dollari contro la fame Ma è vera lotta?
Il 25 settembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita al Palazzo di vetro di New York, ha approvato un nuovo progetto, gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile”, che sostituisce e prende le mosse dagli “Obiettivi del Millennio”, il progetto di lotta alla povertà varato nel 2000, articolato in otto punti e altrettanti traguardi da raggiungere entro il 2015. Nel nuovo progetto, gli obiettivi sono saliti a 17, suddivisi in 169 traguardi.
Il 25 settembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita al Palazzo di vetro di New York, ha approvato un nuovo progetto, gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile”, che sostituisce e prende le mosse dagli “Obiettivi del Millennio”, il progetto di lotta alla povertà varato nel 2000, articolato in otto punti e altrettanti traguardi da raggiungere entro il 2015. Nel nuovo progetto, la bozza del quale è stata presentata a luglio in occasione della terza Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul finanziamento allo sviluppo svoltasi ad Addis Abeba, gli obiettivi sono saliti a 17, ulteriormente suddivisi in 169 traguardi.
Per quel che riguarda i finanziamenti, i miliardi, impiegati per la realizzazione degli Obiettivi del Millennio, sono diventati trilioni. A luglio la stima era di almeno tre trilioni di dollari all’anno, per un totale quindi di 45 trilioni di dollari. Da allora la cifra è lievitata. Si parla ormai di sette trilioni di dollari all’anno solo per migliorare le infrastrutture, di 66 miliardi di dollari all’anno per sradicare la povertà e via dicendo fino ad arrivare, secondo quanto si legge in una agenzia Misna del 25 settembre, a una previsione di spesa di 15 trilioni di euro all’anno.
«Diversamente dagli Obiettivi del millennio, che si applicavano soltanto ai paesi in via di sviluppo, stavolta», informa Misna, «tutte le Nazioni dovranno lavorare nella stessa direzione. Ogni Nazione sarà tenuta a presentare i suoi piani per lo sviluppo sostenibile, i quali devono essere impostati in maniera da sottrarre risorse da attività insostenibili in favore di politiche capaci di migliorare la qualità della vita e rispettare l’ambiente». Gli obiettivi principali restano però sostanziamente gli stessi: cancellazione della povertà, della fame, servizi sanitari e istruzione per tutti, lotta contro discriminazioni e ingiustizie e tanta tanta attenzione alla tutela dell’ambiente. Va da sè che lo sforzo finanziario più consistente riguarda i paesi in via di sviluppo ai quali, come nel progetto precedente, andrà gran parte dei fondi a disposizione.
Ogni governo dovrà impegnarsi a reperire risorse, anche quelli dei Paesi in via di sviluppo, per quanto possibile. Ma molti bilanci statali di quei Paesi, ad esempio di gran parte degli stati africani, già sono integrati ogni anno con capitali forniti dalla cooperazione bilaterale e multilaterale. Il bilancio del Burundi, ad esempio, dipende per il 40% dagli aiuti internazionali. Inoltre, proprio gli Stati africani, soprattutto i maggiori produttori di petrolio e di altre materie prime preziose il cui prezzo sui mercati internazionali ha subito forti cali, hanno annunciato per il prossimo anno drastiche riduzioni di bilancio in conseguenza degli introiti delle esportazioni fortemente ridotti. Sembra evidente che, almeno all’inizio del progetto, non saranno in grado di contribuire alla sua realizzazione se non in misura minima o del tutto simbolica. In altre parole, il successo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dipende ancora una volta in gran parte dai fondi pubblici e privati che i Paesi industrializzati ed emergenti riusciranno a stanziare, nonostante risentano anch’essi della crisi economica mondiale.
Le perplessità sulla sostenibilità effettiva di una iniziativa così imponente e costosa non sono mancate.Nei mesi scorsi alcuni Stati, tra cui la Gran Bretagna e il Giappone, e alcune organizzazioni non governative hanno proposto con insistenza di ridimensionare progetto e costi. Ma alla fine hanno prevalso le proposte più ambiziose. Men che meno hanno contato i dubbi e gli interrogativi a proposito dei risultati raggiunti dagli Obiettivi del millennio. Ancora non è stato reso pubblico il bilancio definitivo del loro costo, indispensabile per valutarne l’esito. I risultati stessi, annunciati con soddisfazione dalle Nazioni Unite lo scorso luglio, richiederebbero dei chiarimenti. Uno dei traguardi indiscussi è il dimezzamento del numero dei poveri assoluti, da 1,9 miliardi a 836 milioni. Molto però di questo risultato si deve al miglioramento delle condizioni di vita verificatosi in alcuni Stati, in particolare la Cina, frutto di uno straordinario sviluppo economico a cui è difficile dire quanto gli Obiettivi del millennio abbiano contribuito.
Anche per quel che riguarda altri traguardi, in particolare nel campo della sanità, dell’istruzione e della lotta alla fame, fa differenza se i progressi sono il risultato di aiuti esterni, nell’ottica assistenziale di tanta cooperazione allo sviluppo, e da cui individui, comunità e Stati continuano a dipendere, o invece di progressi consolidati e permanenti. Che, ad esempio, decine di milioni di profughi e sfollati assisti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati possano contare su una buona alimentazione e ricevano adeguate cure mediche non è una conquista, non è un traguardo in termini di lotta alla fame e di diritto all’assistenza sanitaria, ma piuttosto un rimedio: di cui rallegrarsi, tuttavia, perché tante vite umane vengono così risparmiate.