Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL VIAGGIO DEL PAPA

Tribalismo, male enorme dell'Africa nera

Il Papa va in Benin. Come già ha di recente detto ai vescovi dell'Angola il tribalismo etnico è un ostacolo enorme alla fede e allo sviluppo umano.

Attualità 16_11_2011
tribalismo

Dal 18 al 20 novembre Papa Benedetto XVI sarà in Benin, Africa Occidentale, per una visita apostolica durante la quale consegnerà ai vescovi africani l’”Esortazione apostolica post-sinodale” frutto del Secondo Sinodo per l’Africa, svoltosi nel 2009 sul tema “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. In attesa dell’evento, merita ripensare le parole del Pontefice rivolte ai vescovi dell’Angola lo scorso 29 ottobre durante la loro visita ad limina: in particolare quelle dedicate al tema del “tribalismo etnico” nei cui residui Benedetto XVI ha individuato uno tra i maggiori ostacoli, insieme alle religioni tradizionali e alla diffusione del concubinato, al cammino della fede e allo sviluppo umano in Africa.

Spesso minimizzato, ignorato e persino del tutto negato, oppure spiegato come un fenomeno estraneo alla tradizione africana, nato con la colonizzazione europea, il tribalismo è in realtà uno dei tratti distintivi della vita africana, oggi come in passato: un sistema di comunità alle quali si appartiene per nascita, invalicabili e insostituibili, antagoniste e ostili.

Né l’islam, con la sua proposta unificante di una “umma”, la comunità dei fedeli, né il cristianesimo, con il suo messaggio di fratellanza universale, sono riusciti a sradicarlo. Anzi, ne sono divenuti una modalità là dove, come ad esempio in Nigeria, tribù convertite nei secoli alle due religioni si affrontano, contendendosi come accade da millenni risorse e mezzi di sopravvivenza.
La guerra inter e intra tribale di conquista – per il controllo di terre fertili, pascoli, punti d’acqua... – e di rapina – per accrescere le risorse a disposizione con raccolti, bestiame, utensili e forza lavoro sottratti ad altre comunità – è un elemento strutturale delle economie di sussistenza africane, tutte caratterizzate – che si tratti di caccia e raccolta, pastorizia o agricoltura – da una produttività molto bassa.

Warie Dirie, la ex fotomodella somala di fama internazionale che da anni si batte contro le mutilazioni genitali femminili, ha fornito una semplice e perfetta definizione del tribalismo in “Lettera a mia madre” (Milano, 2009): “In Somalia – ha scritto – i rapporti di sangue sono le fondamenta di ogni interazione sociale. (...) La tua famiglia, il tuo sotto-clan, il tuo clan sono tutto ciò che hai. Il clan decide la posizione di ciascuno all’interno della famiglia. Determina chi puoi considerare amico e chi devi guardare come un nemico. Cosa puoi vendere e a chi. Cosa puoi comprare e da chi. Il clan è il tuo presente e il tuo futuro. Sente al posto tuo, agisce al posto tuo e pensa per te. È la tua anima e la tua identità. Il clan può proteggerti, ma può anche diventare la tua prigione”. Altrettanto perfetta è la sintesi della mentalità tribale espressa, sempre nello stesso testo, in un ammonimento del padre: “Questa è la legge della tua famiglia: tu e i tuoi fratelli contro i vostri fratellastri. I tuoi fratelli, i tuoi fratellastri e tu contro i vostri cugini. La vostra famiglia contro le altre famiglie. Il vostro clan contro gli altri clan”.

Negli stati moderni nati con le indipendenze, la conflittualità etnica non solo non è venuta meno, ma si è estesa al controllo dell’apparato statale, fonte di potere e di ricchezze immense, e ha assunto potenzialità distruttive enormi grazie alla disponibilità di armi e di tecnologie militari un tempo assenti.

Incessanti sono gli appelli delle autorità religiose, purtroppo inascoltati, a superare il tribalismo in nome del bene collettivo. Ultimo in ordine di tempo è quello dei leader religiosi del Kenya, riunitisi il 24 ottobre per parlare delle prossime elezioni generali, in agenda tra poco più di un anno: “I processi politici in Kenya – si legge nel documento pubblicato alla fine dell’incontro – appaiono incentrati sul fulcro dei gruppi tribali e ciò, oltre a rendere le elezioni delle mere maratone etniche, trasforma la sconfitta dei candidati in una questione interna alla comunità piuttosto che politica”.

A situazioni del genere pensava il Papa denunciando pochi giorni dopo la tendenza delle comunità africane a chiudersi e a respingere gli estranei ed esaltando per contro il vincolo “più forte di quello delle nostre famiglie terrene e di quello delle vostre tribù” che si crea attorno all’altare dove la condivisione del sangue e del corpo di Cristo “rende fratelli e sorelle realmente consanguinei” uomini e donne “di tribù, lingue e nazioni diverse”.