Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Tregua fra Israele e Hezbollah. Netanyahu, riluttante, deve accettare

Ascolta la versione audio dell'articolo

Dopo una lunga e difficile trattativa internazionale, Netanyahu ha accettato una tregua con Hezbollah, a partire dal 27 novembre (oggi) mattina. Intanto la guerra continua a Gaza e in Cisgiordania.

Esteri 27_11_2024
Benjamin Netanyahu annuncia la tregua in Libano (La Presse)

Dopo giorni di trattative, l'accordo sul cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah è stato raggiunto. La tregua, salvo imprevisti inizia alle 10 del mattino del 27 novembre (oggi, per chi legge). Un accordo imposto e accettato a malincuore. Una tregua di sessanta giorni che il governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu, è stato costretto ad accettare, dando così il via libera ad un'intesa con Hezbollah, l’organizzazione filoiraniana libanese, e suscitando molti malumori tra i vari ministri. Una tregua delle ostilità, ma non la fine della guerra. Quanto durerà questo cessate il fuoco? Potrebbe protrarsi per un mese o forse più. Impossibile dare una risposta certa.

Netanyahu ha dovuto cedere di fronte alle pressioni sia degli Stati Uniti che della Francia. Ma soprattutto l'amministrazione americana ha intimato agli israeliani di accettare la proposta senza frapporre alcun ostacolo e dare il via libera alla vecchia risoluzione dell'Onu, che regola i rapporti tra il Libano e Israele, pena una "punizione": il blocco della fornitura di armi, in particolare l’approvvigionamento di oltre 130 carri armati di ultima generazione. Ieri Netanyahu ha tenuto una riunione con i suoi collaboratori, tra cui il ministro per gli Affari strategici, Ron Dermer, e quello della Difesa, Israel Katz. E poi è stato dato l'annuncio della tregua.

Israele, di fatto, ha ceduto alle pressioni accettando di istituire un comitato composto da cinque paesi, tra cui la Francia, e presieduto dagli Stati Uniti. L'accettazione della Francia non è stata cosa semplice. Israele, infatti, aveva messo il veto in seguito all’ostilità dei francesi, palesata nei confronti di Israele negli ultimi tempi. Solamente una dichiarazione dell'Eliseo, in cui la Francia s’impegna a non dar corso all’arresto di Netanyahu, in seguito alla sentenza della Corte penale internazionale che ne impone la cattura, ha convinto Israele ad accettare il coinvolgimento francese. Secondo la bozza dell’intesa che circola nelle varie cancellerie è previsto un periodo di transizione di sessanta giorni, durante il quale l’esercito israeliano si ritirerà dal Libano meridionale, e le truppe libanesi saranno schierate, nelle zone di confine per pattugliare la frontiera assieme a Unifil; mentre Hezbollah sposterà posizioni e armamenti a nord del fiume Litani. Il Libano è pronto ad inviare 5mila soldati mentre le truppe israeliane si ritireranno. Gli Stati Uniti, dal canto loro, potrebbero svolgere un ruolo nella ricostruzione delle infrastrutture distrutte dagli attacchi israeliani.

Al tavolo delle trattive Hezbollah era il grande assente. La scorsa settimana, i vertici del movimento sciita avevano fatto trapelare la notizia di essere a conoscenza del contenuto dell'accordo e di aver presentato una loro proposta. Secondo alcune fonti provenienti dal Libano, Tel Aviv avrebbe ricevuto un impegno da parte di Washington circa la libertà d’azione in caso di inosservanza dell’accordo.

Ma la decisione dell'esecutivo israeliano ha fatto registrare la reazione negativa da parte degli esponenti ultraortodossi di estrema destra. Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, l'ha definita un grave errore, ma non ha minacciato le dimissioni, com’è solito fare. In effetti, con l'entrata nel governo di Gideon Saar, in sostituzione di Yoav Gallant, la sua influenza è stata decisamente ridimensionata. In un post su X, Ben Gvir ha consigliato Netanyahu di «ascoltare i comandanti che combattono sul campo; proprio ora, che Hezbollah è sconfitto e vuole una sospensione del conflitto, è proibito fermarsi».

Nonostante le trattative in dirittura d'arrivo, le forze armate israeliane hanno continuato, anche nella giornata di ieri, a martellare il Paese dei Cedri. Nel frattempo, una divisione dell'esercito ha raggiunto il fiume Litani, nella zona orientale del Libano meridionale. È la prima volta dal 2000, anno in cui Israele si ritirò dal Libano, che le truppe dell'Idf raggiungono le rive del fiume Litani. 

Ma oltre alla tregua imposta, il primo ministro Netanyahu ha dovuto prendere atto della conclusione dei lavori della Commissione d’inchiesta civile e indipendente che ha indagato sui tragici fatti del 7 ottobre dello scorso anno. Netanyahu è ritenuto «perseguibile per aver indebolito tutti i centri decisionali, tra cui il governo e il Consiglio di sicurezza nazionale, in un modo che ha impedito qualsiasi discussione seria che includesse una pluralità di opinioni su importanti questioni di sicurezza». Inoltre, è stato messo sotto accusa per i ritardi nella risposta all’attacco di Hamas.

I palestinesi della Striscia guardano con una certa speranza ad un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah. Ma a Gaza si continua a morire. Ora alle bombe si aggiunge il maltempo. Le tende allestite con teli di plastica e cartone sono state spazzate via dal forte vento e dalla mareggiata. La catastrofe umanitaria e sanitaria è totale. Nel nord di Gaza, in particolare nei villaggi di Jabalia e Beit Lahia, i carri armati e gli aerei israeliani continuano a bombardare con intensità case e rifugi, uccidendo in modo indiscriminato i civili e imponendo al contempo un rigido assedio all’intera area. Secondo il ministero della Salute della Striscia, nelle ultime ventiquattro ore, i militari israeliani hanno provocato tre massacri, in diverse aree, uccidendo e ferendo oltre 120 persone. Ha poi aggiornato il bilancio della guerra: le vittime, dal ​​7 ottobre 2023 ad oggi, sono 44249, mentre i feriti sono 104.746.

L'ala ultraortodossa del governo Netanyahu, con il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich in prima fila, invita il governo ad occupare Gaza e ad "incoraggiare" la metà degli oltre due milioni di palestinesi della Striscia a lasciare, entro due anni, la terra e ad emigrare in altri paesi.

Anche in Cisgiordania la situazione è sempre molto tesa. Da fonti del Dipartimento per le indagini interne della polizia (DIPI) israeliano è stata diffusa una nota che rende noto che un palestinese è stato violentemente aggredito e rapito da un gruppo composto da quattro agenti di polizia, quattro soldati delle Idf e da Saar Ofir, un civile israeliano. Quest'ultimo è un colono dell'insediamento di Elkana, nella Cisgiordania centrale, arrestato lo scorso luglio e poi rilasciato perché sospettato di aver giustiziato un terrorista di Hamas catturato dalle forze dell'Idf a Gaza.