Trans nell’atletica, i nati maschi restano più forti
Una ricerca pubblicata sul British Journal of Sports Medicine e condotta su 75 soggetti transgender, dei quali 29 uomini «diventati» donne, ha trovato che anche dopo un anno dal trattamento ormonale volto a ridurre il testosterone i maschi continuano a conservare in media un consistente vantaggio competitivo nello sport. Ulteriore segno che la natura non cambia con l'ideologia.
Uomini e donne si nasce, e si resta. Se non si fosse subito tacciabili di transfobia, si potrebbero commentare così gli esiti di un nuovo studio che mette seriamente in discussione la possibilità che il «cambio di sesso» - anche dopo interventi e massicci trattamenti - possa aver luogo, con il sostanziale permanere di una differenza tra soggetto maschile e femminile, soprattutto per quanto riguarda le prestazioni sportive. In particolare, ciò che è emerso è che i maschi, riassegnazione o non riassegnazione sessuale, restano maschi e, quindi, più prestanti della controparte femminile. Ma andiamo con ordine.
La ricerca di cui si sta parlando - confluita in sette dense pagine pubblicate un mese fa sul British Journal of Sports Medicine, rivista medica peer reviewed con quasi 60 anni di storia - ha visto un team di tre ricercatori esaminare retrospettivamente le cartelle cliniche e i test sportivi, negli anni compresi tra il 2013 e il 2018, di un campione di 75 soggetti transgender, dei quali 29 uomini «diventati» donne, che hanno iniziato il percorso di riassegnazione di genere mentre facevano parte dell’aeronautica degli Stati Uniti.
Va precisato che l’aeronautica, ogni 12 mesi, sottopone il personale in servizio ad una valutazione fisica che va dalla misurazione di peso, altezza e circonferenza, fino a quella del numero di flessioni e addominali eseguiti in un minuto e del tempo impiegato per fare di corsa 1,5 miglia. Va inoltre aggiunto che uomini e donne che non soddisfino gli standard di idoneità sportiva sono tenuti a partecipare a sessioni di allenamento fisico aggiuntive al di fuori del normale orario di lavoro, fino a che costoro non siano in forma. Questo particolare è significativo perché ci fa capire che le cartelle esaminate dagli autori dello studio non riguardano generici soggetti bensì dei militari che sono, per il loro ruolo, tenuti ad essere sportivi e in forma, senz’altro molto di più della media della popolazione e in misura utile per un paragone con il mondo dell’agonismo sportivo.
Ebbene, fatta questa premessa, passiamo alle risultanze di questa ricerca, che sono essenzialmente un paio. La prima riguarda il vantaggio competitivo degli uomini desiderosi di «cambiare sesso» che, rispetto alla controparte femminile, è notevole, oscillando, a seconda del tipo di prestazione atletica considerata, dal 15 al 31%. La seconda scoperta di questo lavoro - anche se poi, a ben vedere, ciò non è così sorprendente - consiste nel fatto per cui, anche dopo un anno dal trattamento ormonale volto a ridurre il livello di testosterone, questi soggetti restano sensibilmente diversi rispetto alle donne dal momento che sono in grado di sostenere una corsa ad una velocità media superiore di circa il 10%, e cioè di parecchio.
In proporzione, le 46 donne «diventate» uomini, secondo tale ricerca, sono riuscite decisamente meglio ad omologarsi al sesso opposto in termini di prestazioni, anche se questo è un dato che meriterebbe ulteriori approfondimenti poiché, da quanto è dato sapere, si è considerato uno stretto insieme di esercizi, che per esempio non contempla prove di forza fisica come il sollevamento pesi; ma restiamo sugli uomini «diventati» donne che, come si diceva, restano decisamente più forti. Troppo, considerando che dopo un anno dall’inizio del trattamento cui costoro si sono sottoposti, secondo la World Athletics, l’organizzazione che si occupa dell’atletica leggera a livello mondiale, potrebbero gareggiare a livello agonistico nella categoria diversa da quella del loro sesso biologico. «Per il livello olimpico, il livello sportivo d’élite, direi che per evitare che questi soggetti siano avvantaggiati nella categoria femminile», ha dichiarato il dottor Timothy Roberts, medico e autore principale dello studio, «è quindi più realistico aspettare due anni prima di ammetterli alle competizioni». «Questo perché», ha aggiunto lo studioso, «durante i primi due anni di uso di ormoni, i maschi che si identificano come femmine sono stati anche in grado di fare il 10% in più di flessioni e il 6% in più di addominali rispetto alle donne; invece dopo due anni di trattamenti ormonali i loro valori sono diventati, nel raffronto con gli altri, abbastanza equivalenti».
Ma «abbastanza equivalenti», in realtà, non significa ancora uguali e neppure, evidentemente, equivalenti. Se ne conclude, quindi, come davvero una differenza tra uomini e donne esista e come neppure il tentativo ormonale di azzerarla sia sufficiente. Insomma, per quanto si tenti di negarla, di camuffarla o di mimetizzarne l’opera, la mano di madre natura - o, per chi ci crede, del Creatore - lascia davvero un segno indelebile in ognuno di noi.