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OLIMPIADI

Trans contro donna, fermate quell'incontro di boxe

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Oggi la pugile italiana Angela Carini dovrà salire sul ring contro Imane Khelif, presunto transgender, squalificato ai mondiali ma ammesso alle Olimpiadi: non è solo un problema di equa competizione, si mette a rischio la vita delle atlete.

Editoriali 01_08_2024
Imane Khelif (a sin.) in un recente incontro

Tutti a disquisire su gender e inclusività – con relative probabilità di vittoria sportiva -, ma pochi puntano l’attenzione sul grave rischio incolumità che oggi correrà la pugile italiana Angela Carini (categoria +66 kg) quando salirà sul ring per affrontare l’algerino/a Imane Khelif (a sin. nella foto), presunto atleta transgender.

Presunto, sì. Perché i suoi difensori dicono che non sia tecnicamente transgender, ma con un non meglio precisato «sviluppo sessuale diverso», e che abbia sempre gareggiato come donna. Fatto sta che però, se non ci sono prove di una avvenuta transizione sessuale, nemmeno c’è una smentita ufficiale né da parte della federazione algerina né da parte di Imane Khelif, che protestano soltanto per una presunta cospirazione ai danni dell’Algeria (chissà perché poi). Peraltro il caso di Imane Khelif non è l’unico perché c’è un altro o un’altra pugile alle Olimpiadi esattamente nella stessa situazione: il/la taiwanese Lin Yu-ting.

Fatto sta che nel 2023 la International Boxing Association (IBA) aveva escluso Imane Khelif e Lin Yu-ting dai mondiali svoltisi in India perché in loro era stato riscontrato un tasso di testosterone troppo alto; e il presidente dell’IBA, il russo Umar Kremlev, aveva anche dichiarato che entrambi «avevano cromosomi XY», che li qualificavano come biologicamente uomini.  Anche qui però i critici affermano che non è stata presentata alcuna prova di quelle affermazioni.

Senonché Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha estromesso l’IBA dalla organizzazione del torneo olimpico, ufficialmente per scandali di corruzione, ma potrebbero non essere estranei motivi politici visto che Kremlev è amico del presidente russo Vladimir Putin, e il verdetto del 2023 era stato conseguenza di una denuncia da parte della Cina. Quindi il CIO ha creato un’altra commissione dalle regole evidentemente meno selettive e molto più inclusive che ha dato il via libera alla partecipazione di Imane Khelif e Lin Yu-ting a Parigi 2024. Il CIO si limita a dire che «tutti gli atleti che partecipano al torneo di boxe dei Giochi Olimpici di Parigi 2024 rispettano i regolamenti di ammissibilità e di iscrizione della competizione, nonché tutte le norme mediche applicabili».

Come solito ci si protegge dietro il rispetto dei protocolli, ma non ci si rende conto che qui c’è in gioco molto più della giustizia sportiva. È già assurdo che in altre gare possano competere con le donne anche atleti transgender, che si percepiscono donne ma che sono uomini a tutti gli effetti. Ma nel pugilato, in più, ne va dell’incolumità delle atlete: il pugno di un uomo – anche se pensa di essere una donna – è circa del 160% più potente di quello di una donna.

Peraltro, non bastassero le foto a far nascere il fondato sospetto di trovarsi davanti a un uomo, c’è anche la testimonianza di una donna che ha combattuto contro Khelif, una delle ultime prima della squalifica decisa dall’IBA. Brianda Cruz, pugile messicana, nel dicembre 2022 ha incrociato i guantoni con Imane Khelif nella finale del torneo Golden Belt a Guadalajara. Alla notizia della squalifica ai mondiali del 2023, dichiarò: «Quando ho combattuto contro di lei mi sono sentita molto spaesata, i suoi pugni mi hanno fatto molto male, non credo di essermi mai sentita così nei miei 13 anni di pugilato, nemmeno nei miei allenamenti con gli uomini. Grazie a Dio quel giorno sono uscita dal ring sana e salva, e sono contenta che finalmente se ne siano accorti».

Dunque, finora non risulta che sia successo nulla di grave, ma il rischio è altissimo come è evidente dalle parole di Brianda Cruz. Sacrificare sull’altare dell’ideologia gender l’incolumità fisica delle atlete è un atto criminale. Per questo non sono sufficienti le proteste del presidente del CONI, Giovanni Malagò, e del ministro dello Sport Andrea Abodi, che si limitano a chiedere regole chiare e giuste per garantire «un’equa competizione».

Pur con tutta la comprensione per chi si è preparato anni per arrivare alle Olimpiadi, si dovrebbe ritirare la partecipazione di Angela Carini dalla competizione e chiedere che siano svolti esami seri – dandone prova documentale - per stabilire il vero sesso biologico di Imane Khelif e Lin Yu-ting.

È ora di gesti forti e decisi per dire basta a questa impostura, a questa menzogna del politicamente e sessualmente corretto.



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