Tra Ue e Russia, paga il conto la Bulgaria
Come ritorsione per la crisi ucraina, la Commissione Ue pone il veto al passaggio del grande gasdotto South Stream nei territori dell'Unione bloccando i lavori in Bulgaria, che contava su questa opera per il suo sviluppo.
Mentre l’Ucraina è ancora insanguinata dalla guerra civile che vede contrapposte le forze filo-russe e quelle del Governo, le rappresaglie economiche promosse dalla UE contro Mosca sono causa di tensioni diplomatiche fra Sofia e Bruxelles.
La linea portata avanti da Barroso, infatti, è molto chiara e ha individuato nel South Stream un ottimo strumento di persuasione da usare nei confronti di Mosca. Il progetto del colossale gasdotto che dovrebbe congiungere la Russia con l’Austria passando, fra gli altri, anche in territorio bulgaro, ha incontrato il veto del Presidente della Commissione. Come riportato dai principali giornali balcanici, infatti, Barroso ha inizialmente avvertito Sofia che la pipeline non aveva il suo placet e che un eventuale inizio dei lavori avrebbe costretto Bruxelles ad agire di conseguenza. Poco dopo tali dichiarazioni, infatti, è arrivato il monito ufficiale: la Bulgaria deve tassativamente astenersi dall’intraprendere la costruzione delle condotte e, secondo l’Ansa, tale divieto sarà seguito da una procedura d’infrazione relativa agli appalti, poiché la Commissione ritiene che la condotta del Governo Bulgaro non abbia rispettato il diritto Comunitario.
Ufficialmente i motivi dell’espressa contrarietà all’opera sono due: da un lato il South Stream viene considerato non conforme al cosiddetto “Terzo Pacchetto Energia” promosso dalla UE nel 2009 e, dall’altro, secondo Barroso, potrebbe mettere a rischio non solo la sicurezza energetica bulgara, ma addirittura quella europea. In ogni caso, nonostante queste dichiarazioni, sembra che sia stata soprattutto la questione Ucraina ad aver pesato sulla decisione presa dall’Unione. Il Commissario Europeo per l’Energia Günther Oettinger, infatti, durante un’intervista al Frankfurt Allgemeine Sonntagszeitung, ha rimarcato che non si potrà arrivare ad una soluzione della controversia con la Russia finché essa non avrà riconosciuto il governo di Kiev e la “quasi guerra civile” non sarà terminata.
In questa situazione complessa, dove politica internazionale, diritto europeo e sicurezza energetica si intersecano, a pagare il prezzo più alto sembra essere proprio la Bulgaria. Come chiaramente sottolineato da Anna Miykova su cesi-italia.org, sito internet dell’omonimo centro studi, Sofia è in gran parte dipendente da Mosca per quanto riguarda i rifornimenti energetici e questa battuta di arresto non fa che peggiorare la sua situazione. Per ovviare a questo problema, nel 2009 il governo socialista di Borisov aveva dato il suo sostegno al progetto Nabucco, che prevedeva di sfruttare le risorse Azere, naufragato però nel 2012.
L’atteggiamento della Commissione, comunque, rischia di causare altri problemi alla Bulgaria, sia da un punto di vista internazionale che da uno interno. Salvo che non voglia sfidare la UE, il paese è impossibilitato a promuovere un progetto potenzialmente molto vantaggioso per la sua economia e che le avrebbe permesso sia di far bypassare ai rifornimenti di gas l’instabile Ucraina, sia di incrementare la sua importanza nell’area del Mar Nero.
Dal punto di vista interno, invece, Sofia deve gestire una situazione forse ancora più complessa. Le recenti elezioni europee hanno visto un’affluenza bassissima (36,15% di votanti) e hanno sancito la vittoria del partito di centro-destra GERB, favorevole ad una politica più distaccata da Mosca. Il governo, invece, è in mano al Partito Socialista Bulgaro, che mantiene una politica distensiva nei confronti del Cremlino, come dimostrato dall’ostilità tenuta nei confronti delle sanzioni anti-russe promosse dall’Europa. Questa impasse rischia quindi di accendere lo scontro politico e allontanare ulteriormente la cittadinanza dalle istituzioni europee, problema che il dato (sopra citato) sulla partecipazione all’ultima tornata elettorale sembra evidenziare con chiarezza.
Il disagio creato da questa situazione “particolare” è facilmente riscontrabile nel botta e risposta fra l’attuale premier Plamen Orešarski e Mihail Mikov, presidente dell’Assemblea Nazionale Bulgara. Infatti, mentre il primo aveva comunicato di aver accettato il volere di Bruxelles, il secondo, pochi giorni fa, ha dichiarato alla Radio Nazionale Bulgara (BNR) che il progetto non è stato assolutamente bloccato e che lo avevano stupito le dichiarazioni contrarie del Presidente del Consiglio.
La decisione di Barroso di opporsi al South Stream, comunque, può potenzialmente avere effetti negativi anche per la Serbia. Infatti, sebbene Belgrado non sia ancora membro della UE e non dovrebbe diventarlo prima del 2020, la volontà di procedere alla costruzione della tratta di sua competenza del gasdotto rischia di metterla in rotta di collisione con Bruxelles, come sta succedendo per le misure anti-russe. Nonostante ciò, comunque, sembra che tutto proceda come pianificato originariamente, tanto che il presidente di Srbijagas (la società Serba che insieme a Gazprom realizza il progetto) Dušan Bajatović ha pubblicamente dichiarato che i lavori inizieranno a luglio. Nel paese l’aspettativa creatasi intorno al progetto è grande, soprattutto perché le stime del suo impatto sull’economia sono rosee: la Camera di Commercio Serba, ad esempio, valuta che il South Stream avrà un impatto positivo, diretto ed indiretto, per circa due miliardi di euro.
Nello specifico è difficile valutare quali saranno le conseguenze per Belgrado, visto che il paese ambisce ad entrare nella UE (e ha ottenuto molti appoggi a riguardo), ma non può rinunciare all’unica opera in grado di dare, in un momento così difficile, una boccata d’ossigeno alle casse dello Stato. Abbandonare il gasdotto significherebbe di fatto cedere su uno dei punti fondamentali della politica del governo, ossia quello della stretta vicinanza alla Russia. Riesce però difficile credere che il popolo serbo, dopo che Mosca è stata la prima ad aiutare le zone recentemente alluvionate, accetterebbe passivamente una tale decisione.
Bruxelles, dal canto suo, ha adottato una strategia potenzialmente vincente, ma, allo stesso tempo rischiosa. Interdire la costruzione del South Stream nel territorio della UE, infatti, lascia poche alternative alla Russia, che si trova circondata da territori europei in cui è difficile far passare le sue pipelines. Contemporaneamente, però, la Commissione si dimostra intransigente verso delle realtà (Bulgaria in primis) che hanno assoluto bisogno di realizzare progetti di tale importanza per rilanciare la propria economia e, soprattutto, conferma che in questa fase, verso i non-nemici di Mosca, è disposta ad usare solo il bastone.