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IL CASO BP

Tra sole e petrolio, il gioco sporco degli eco-imperialisti

Quasi 19 miliardi di dollari, il risarcimento più alto mai pagato per i danni di un disastro ambientale. Quello provocato cinque anni fa dall’esplosione di una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico. Colpevole la BP, multinazionale del petrolio, ma anche una delle principali società nel campo delle energie rinnovabili.

Economia 04_07_2015
Il nuovo logo della BP

Diciotto virgola 7 miliardi di dollari che dalle pipelines della British Petroleum arriveranno direttamente alle casse dello Stato federale americano e ai cinque Paesi toccati e inquinati dalla gigantesca marea nera. L’indennizzo più grasso della storia a risarcire i danni di un disastro senza precedenti: 134milioni di galloni di greggio, circa 500 milioni di litri, che nell’aprile del 2010 uscirono dalla piattaforma Deepwater Horizon e stesero una coperta nera sopra tutto il Golfo del Messico. Undici lavoratori uccisi dall’esplosione e la devastazione delle zone costiere del Golfo del Messico, dal Texas fino al delta del Mississippi e alle paludi della Lousiana. Ma ora giustizia è fatta, gamberetti, pesci, tartarughe, alligatori e pellicani sono stati vendicati e quella marea di dollari usciti dalle trivelle giudiziarie andrà a riparare i danni e a ristabilire (forse) gli equilibri sconvolti. 

Ma la cosa più strana e comica, in questo caso, è che la BP, la British Petroleum, entrata nel guinness delle nefandezze petrolifere, è la stessa multinazionale che da anni sta investendo miliardi di dollari negli impianti di produzione di energia eolica. La BP aveva affittato la piattaforma esplosa dalla società svizzera Transocean ricavandone profitti milionari, ma non di solo petrolio viveva e vive la multinazionale. A differenza di altri imperi costruiti sul greggio, la sua specialità è il gioco simultaneo sui ambedue i fronti energetici: quello egli idrocarburi e quello della cosiddette fonti pulite. Pur restando uno dei maggiori attori petroliferi a livello mondiale (assieme a Royal Ducht Shell, ExxonMobil e Total), con la sua divisione BP Solar è diventata pure leader nella produzione di impianti per energia solare e eolica.  Possedeva il 20% del mercato mondiale dei pannelli fotovoltaici nel 2004, oggi BP Solar  opera in 200 Paesi con impianti produttivi in mezzo mondo e con oltre 3000 dipendenti. Miracoloso, non vi pare? Avere saldamente i piedi (e anche pozzi e piattaforme oceaniche) nei giacimenti petroliferi per raffinare idrocarburi inquinanti e  pericolosi e, contemporaneamente, dominare il business delle fonti alternative. Finanziare le sporche guerre di blood for oil e sponsorizzare sottobanco di movimenti e gruppi ecologisti e no war.  Magie che solo l’eco-imperialismo più evoluto è in grado di fare. 

La storia della BP ne è la prova provata  e in qualche modo rappresenta l’icona di una non comune abilità doppiogiochista, “politica” e di marketing, capace pure di arruolare i suoi apparenti e ignari (non tutti) oppositori.  La società nasce dalla prima fusione, avvenuta nel 1988, della British Petroleum con la Amoco (American Oil Company), formando la BP Amoco. Un anno dopo la parola "Amoco" venne rimossa dal nome della società che divenne semplicemente BP senza che le due lettere avessero un significato. Nello stesso periodo una campagna pubblicitaria utilizzò lo slogan Beyond Petroleum ("Al di là del petrolio", oppure "Non solo petrolio"), dismettendo quindi definitivamente la parola "British” dal nome. Il cambiamento serviva sia a rimarcare la nuova dimensione internazionale della società, sia a evitare che un legame ostentato con il Regno Unito potesse essere d'intralcio agli affari in certe regioni del mondo. Di più: il nuovo slogan fu accompagnato da un restyling del suo famoso "Scudo Verde" cambiandolo nel simbolo dell’elio (raggi di sole verdi e gialli) per enfatizzare il focus aziendale sull'ambiente e sulle fonti di energia rinnovabili. Da allora, la tesi farlocca del global worming, del riscaldamento globale della Terra, divenne l’arma segreta per il rilancio ecologico e a impatto zero della multinazionale. Sole e vento, ma non solo: tra i suoi progetti attuali c’è pure una rete distributiva  di idrogeno nello stato della California. nel 2004 la BP America venne segnalata tre le 100 migliori aziende per come trattava le lavoratrici madri. Insomma, bella fuori ma anche pulita dentro, come dice lo spot dell’acqua plin plin. 

Pensare che, solo 5 anni prima, la compagnia fu al centro di imbarazzanti rivelazioni per i suoi affari in Colombia. La Colombia è stata tormentata da guerre che spesso si intrecciano con le ricerche di petrolio. Nel 1996, BP  ha pagato 60 milioni di dollari americani al ministero della Difesa colombiano. In cambio, l'esercito era d'accordo nel fornire soldati per monitorare la costruzione di un oleodotto che avrebbe accelerato il trasferimento del petrolio greggio la compagnia fu (e enormi profitti) sulla costa. La BP fornì l’addestramento per i soldati attraverso una società privata di “sicurezza” inglese chiamata Defense Systems Limited. Secondo un rapporto commissionato dal governo colombiano, la BP ha collaborato anche con i soldati locali in rapimenti, torture e omicidi.  La stessa accusa di accumulare dollari alla faccia dei diritti umani, venne più recentemente rivolta alla multinazionale in occasione della costruzione del mega-oleodotto da 3,5 miliardi di dollari che inglesi, americani ed europei costruirono per portare il greggio in Europa attraverso la Georgia. Lo hanno chiamato “la nuova via della seta”: un tubo lungo 1.760 chilometri dalle coste dell’Azerbaijan (Baku) fino a quelle turche (Ceyhan) e quindi ai mercati occidentali, attraverso il territorio georgiano, aggirando Russia e Iran. Oltre che ai danni ambientali, l’oleodotto fu causa di violenze e truffe ai danni dei contadini proprietari delle terre espropriate. 

Vere o false che siano queste accuse, rappresentavano già una indelebile macchia sul volto pulito e perbene che il colosso si è faticosamente costruito in questo decennio. Ma le vie del business sono infinite. BP, infatti, è caso esemplare ma non unico di eco-imperialismo o, se vogliamo usare termini meno drammatici, di ecofurbetti al potere che, in nome dell’ambiente e dell’energia pulita, rifilano al mondo panzane sequispedali, insieme a e oceani di petrolio alla deriva e migliaia di devastanti torri eoliche alte come l’Empire State Building.  La verità è le major del petrolio sanno benissimo che il nucleare è l'unica energia in grado di sostituire il greggio e le conseguenze micidiali sulla salute del nostro pianeta. Una minaccia per i loro imperi solo se la gente smettesse di credere a tante bugie pseudo- ambientaliste. Così, gli interessi dei petroliere e alcune fandonie degli ecologisti finiscono per incrociarsi e promettersi eterno amore