Tra Blangiardo e l'ISTAT c'è di mezzo l'ideologia
La protesta esplosa a sinistra per la possibile nomina di Gian Carlo Blangiardo al vertice dell'ISTAT, tradisce un uso ideologico dei dati che ne ha sempre fatto la sinistra. Ma fa capire anche che per cambiare indirizzo non basta la nomina di una persona al vertice, c'è bisogno di strumenti nuovi e luoghi culturali.
Per Blangiardo all’ISTAT si sta ripetendo la saga di Foa alla RAI. Il governo ha indicato il demografo prof. Gian Carlo Blangiardo per la poltrona della presidenza dell’Istituto di Statistica (ISTAT). Sembra che l’idea sia nata dal ministro Giulia Bongiorno. Subito è esplosa la protesta della sinistra e del sindacato interno all’ISTAT secondo i quali il prof. Blangiardo non garantirebbe l’indipendenza dell’Istituto, come Foa – il collegamento viene spontaneo - non avrebbe garantito quella della RAI, ampiamente dimostrata invece da Giovanna Botteri e Fabio Fazio.
Ma perché mai Blangiardo non garantirebbe l’indipendenza? Perché il professore della Bicocca continua a ripetere da anni ed anni che il primo problema dell’Italia è la denatalità? Ma i dati su cui egli si basava e si basa per dire questo erano e sono proprio quelli forniti dall’ISTAT, nonostante non fosse e non sia ancora presidente. Perché il professore sarebbe “vicino” a Salvini? Non so cosa voglia dire essere “vicino” a Salvini, è certo però che Blangiardo sta ripetendo queste cose da quando Salvini non era ancora Salvini, quindi al di sopra di ogni sospetto. Forse perché Blangiardo è contro la legalizzazione dell’aborto, lo considera un turpe controllo delle nascite ed è a favore di sostegni alla famiglia non di tipo congiunturale, come ha anche scritto nell’editoriale di Avvenire – giornale non certo vicino a Salvini – di giovedì 20 novembre? Sì, il motivo non può essere che questo, un motivo quindi nemmeno politico ma ideologico.
Dichiarando di temere per l’indipendenza dell’Istituto di Statistica se dovesse prenderne la guida Blangiardo, l’opposizione accumula ben tre errori in un colpo solo. Prima di tutto sembra dire, contro ogni evidenza, che la statistica non è una scienza, se appunto può venire manipolata politicamente. In secondo luogo ammette implicitamente che questo possa essere avvenuto anche in precedenza, facendo nascere dei sospetti sul suo passato. In terzo luogo, ed è la cosa più importante, gli oppositori a Blangiardo mostrano di temere non l’inquinamento dei dati raccolti ma la possibilità che il cannocchiale dell’ISTAT venga rivolto a dati che finora sono rimasti sotto traccia.
Quella che essi chiamano mancanza di indipendenza è in realtà la possibilità di mostrare attraverso l’ISTAT aspetti finora (volutamente) nascosti della situazione sociale italiana. Perché i titoli delle prime pagine sono sempre per la violenza sulle donne e mai su quella sugli uomini? Perché non ci si occupa mai dei suicidi maschili? Perché per cercare dati attendibili sugli aborti reali – e non solo su quelli legali – bisogna fare il diavolo a quattro e per di più senza esito? L’ISTAT è come un cannocchiale, o una lente di ingrandimento se si vuole, sull’Italia, che può essere indirizzato qui oppure là, si possono portare alla luce alcuni comportamenti e non altri. Chi controlla l’ISTAT controlla l’immagine che l’opinione pubblica si fa del Paese. Gli strumenti sono scientifici, almeno secondo il grado di scientificità della statistica, ma i fini possono essere tanti.
Di per sé, che una nuova maggioranza voglia cambiare i nomi ai vertici delle varie istituzioni è normale, come normale è che l’opposizione si opponga. Blangiardo ha tutti i titoli scientifici per coprire quell’incarico e chi lo nega dimostra i propri pregiudizi ideologici. Bisogna però anche tenere conto che il solo cambiamento dei vertici non garantisce un nuovo corso. Dopo che Foa si è seduto sulla sedia più alta di via Mazzini la RAI è ancora quella di Giovanna Botteri e Fabio Fazio e al TG1 di prima serata si racconta ancora dell’omosessuale che ha adottato il bambino affetto da sindrome di Down elogiandolo sperticatamente e senza dare spazio a nessuna valutazione di controparte. Si dirà che è ancora presto per fare bilanci simili, dirigenti e giornalisti RAI hanno i loro contratti che vanno rispettati. È vero, i tempi sono lunghi, ma il cambio di un uomo su una sedia non può portare da solo una primavera.
Dalla ribellione delle elezioni del 4 marzo scorso è giusto che emerga anche il cambiamento delle facce di vertice, con la promozione di persone serie, come sono Foa e Blangiardo, a cariche pubbliche importanti. Ma la cosa non può finire lì, c’è anche bisogno di lanciare nuovi strumenti e luoghi culturali affinché le cose possano cambiare nel lungo termine e non solo nell’immediato e perché si tratti di cambiamenti di base e non solo di vertice. Nuove fondazioni culturali, nuove riviste, nuovi luoghi di dibattito e confronto serio, nuovi percorsi formativi …la ribellione del 4 marzo ha bisogno anche di questo. Dei due partiti al governo, però, un ruolo speciale in questo senso spetta alla Lega, perché i 5 Stelle sono troppo omogenei culturalmente al sistema contro cui il popolo italiano si è ribellato.