FOCUS
Tortura ok per catturare Bin Laden?
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Attualità
10_05_2011
A quanto dichiarato è abbastanza probabile che la localizzazione di Osama bin Laden sia divenuta possibile anche grazie alle informazioni ottenute torturando alcuni terroristi nella base di Guantanamo.
Ora, questa localizzazione è certamente un risultato molto importante e lodevole (mentre non lo è il modo in cui è stata condotta l’operazione). Ma questo risultato rende moralmente accettabile e legittima la tortura?
Il discorso è delicatissimo e poco studiato, per cui possiamo provare a individuare alcuni criteri senza avere alcuna pretesa di definitività. Il punto principale è che nemmeno nel corso di una guerra è moralmente lecito compiere qualsiasi atto, nemmeno nel corso della guerra al terrorismo. Infatti, un fine buono non giustifica un mezzo (cioè l’atto che lo consegue) malvagio, sebbene ne attenui la gravità (talvolta anche di molto).
Questo argomento vale contro il machiavellismo (che cosa abbia detto davvero Machiavelli invece è un altro discorso), ma non contro il consequenzialismo, cioè quella concezione che dice non già che il fine giustifica l’azione-mezzo che lo consegue, bensì che il fine qualifica moralmente l’azione-mezzo. Infatti, per il machiavellismo l’azione umana ha già in sé una sua qualità morale prima di conseguire il fine; invece, per il consequenzialismo l’azione in sé è moralmente indifferente ed è il fine conseguito che le attribuisce, di volta in volta, una qualità morale. Di volta in volta, a seconda del fine raggiunto, può essere buono/malvagio torturare, schiavizzare, commettere atti pedofili, ecc.
Ora, il consequenzialismo non coglie che la bontà/malvagità degli atti umani dipende dalla loro identità e non dai loro risultati (è il punto decisivo, ma non è qui possibile dimostrarlo: a tal proposito sono costretto a rinviare al mio L’utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero, 2004). È così anche se a volte (come nel caso della tortura al fine di evitare attentati) sembra decisamente antintuitivo.Sono sempre malvagi gli atti che ledono la dignità umana, cioè quella preziosità incommensurabile che innalza l’uomo al di sopra di tutte le cose, piante e animali. Chi compie questi atti offende l’uomo e, inoltre, quasi sempre, lo tratta come mezzo, quando invece l’uomo dev’essere trattato come fine in sé (e solo le sue prestazioni possono, a volte, essere lecitamente usate come mezzo). Chi sputa in faccia ad un uomo lo offende come persona, e parimenti lo offende e lo tratta come mezzo chi lo tortura.
Infatti, la tortura è una forma di violenza fisica o psicologica (che cosa, in concreto, sia violenza – che non è il mero uso della forza – e dunque tortura è un altro discorso, molto complesso, che inoltre va applicato appunto in concreto, talvolta caso per caso), solitamente inflitta con il fine di estorcere delle informazioni, oppure di punire, oppure di ottenere piacere (sadismo). La tortura offende la dignità umana anzitutto in quanto è appunto una violenza, la quale ovviamente non onora bensì calpesta la dignità umana. In questo senso, anche il Catechismo della Chiesa cattolica afferma (al punto 2297): «La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per soddisfare l'odio, è contraria al rispetto della persona e della dignità umana».
È vero che il malvagio (l’assassino, il terrorista) è indegno. Però egli ha leso la sua dignità morale, non quella ontologica, che è inerente al suo stesso esserci, alla sua natura razionale (ho delucidato divulgativamente questa tesi in Eutanasia e suicidio: che giudizio dare?, «il Timone», 80/2009, pp. 36-38). E questa dignità ontologica è quella che viene calpestata dagli atti intrinsecamente malvagi.Quanto alla tortura inflitta per estorcere informazioni, essa vìola la coscienza, quel sacrario che non si dovrebbe mai violare, vuole che una persona abdichi dalla sua libertà interiore, cerca di ottenere che un uomo cessi di essere padrone di sé. Come ha scritto Robert Spaemann, la tortura rende l’uomo strumento privo di volontà nelle mani di altri uomini e vìola direttamente quella sacralità della coscienza di cui parla già Socrate prima del cristianesimo.
D’altra parte, se la pena in forma di tortura è sempre gravemente malvagia, non è però malvagia ogni pena. Anche a questo riguardo bisognerebbe indugiare a lungo, a partire dalla delucidazione dei fini della pena.Limitandoci alla funzione rieducativa della pena, ciò che si può perlomeno dire è che una pena non violenta è diversa dalla tortura perché non offende la dignità del reo, bensì anzi la riconosce. Essa, infatti, riconosce che l’uomo è un essere responsabile e libero e proprio per questo vuole che egli sia punito (per il male che ha commesso) affinché si penta interiormente e recuperi la dignità morale che ha leso. Non vuole togliere la libertà interiore al reo, non vuole che cessi di essere padrone di sé, bensì spera che egli usi tale libertà per un atto moralmente alto come il pentimento, vuole che egli con la sua coscienza riconosca e detesti interiormente il male che ha compiuto.