Tommaso, Risurrezione in un gioco di mani
La teatralità dell'incredulità di Tommaso del Verrocchio conferisce alla scena un potente impatto psicologico e si concentra sul movimento delle mani. Sono lo strumento espressivo più eloquente: la sinistra di Cristo apre la tunica per mostrare la piaga, mentre la destra si solleva per eliminare ogni distanza. La destra di Tommaso, invece, lentamente, gli si avvicina, come chiunque di noi avrebbe fatto se solo fosse stato lì.
Gli rispose Tommaso: “ Mio Signore e mio Dio!” GV 20, 28
Fu merito, in buona parte, delle corporazioni di Arti e Mestieri se Firenze divenne una delle città più ricche del medioevo europeo. Non sorprende, dunque, che riservassero ai simulacri dei Santi loro protettori le nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele, già mercato delle granaglie costruito a guisa di loggia, trasformato in tempio sacro a loro dedicato. L’edicola di maggior rilievo era d’appannaggio del Tribunale della Mercatanzia, l’organo che dirimeva le questioni insorte tra le varie corporazioni. Per presidiare questo spazio, nel 1466, la potente istituzione commissionò l’Incredulità di San Tommaso a un rinomato artista, Andrea di Michele di Francesco di Cione, più prosaicamente detto il Verrocchio, scultore, pittore, orafo e maestro, tra gli altri, di Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli.
La nicchia stessa era già di per sé un’opera d’arte. Modellata da Michelozzo su disegno di Donatello, di quest’ultimo aveva ospitato fino al 1460 il San Ludovico di Tolosa, poi spostato sulla facciata di Santa Croce. Verrocchio dovette confrontarsi con cotanto personaggio, protagonista della scena artistica, non solo fiorentina, della generazione precedente. Realizzando il suo gruppo plastico, bronzeo, si dimostrerà perfettamente all’altezza.
Delle quattordici statue questa è l’unica non a tutto tondo. Si tratta, precisamente, di un altorilievo cavo, teste a parte, eseguito con la tecnica della cera persa, procedimento già in uso nell’antichità e ripreso in epoca rinascimentale, di cui Verrocchio dimostra, anche qui, una perfetta padronanza. Una sola gittata per ciascuna figura la dice lunga, del resto, sulla bravura dell’artista.
Increduli o no, anche noi, che osserviamo la scena da un punto di vista inferiore, per altezza, siamo sollecitati a seguire Tommaso nel suo incedere verso il Risorto. Colui che era detto Didimo, infatti, sembra provenire dalla strada grazie alla posizione riservatagli dall’artista, aggettante verso l’esterno e più bassa di un gradino rispetto a quella di Gesù. Il suo piede destro, leggermente sollevato, esce dallo spazio protetto della nicchia per lasciare intuire un movimento verso qualcosa o, meglio, Qualcuno, che solo un attimo dopo l’osservatore riesce a identificare: il Risorto. Noi, con lui, siamo dunque invitati a dirigerci verso il Cristo.
La teatralità della composizione, che conferisce alla scena un potente impatto psicologico, si concentra sul movimento delle mani. Sono loro lo strumento espressivo più eloquente: la sinistra di Cristo, per amore e solo per amore, apre la tunica per mostrare la piaga nel Suo costato, mentre l’altra, quella destra, si solleva quasi a volere eliminare ogni distanza tra Sé e il Suo discepolo. La mano destra di Tommaso, invece, lentamente, timidamente, Gli si avvicina, come chiunque di noi avrebbe fatto se solo fosse stato lì…
“Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi...”—“Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato...
Diceva S. Agostino. Noi sappiamo, però, che non è mai troppo tardi.
* L’opera originale si trova all’interno del Museo di Orsanmichele. In loco è stata sostituita da una copia.