Tolkien, un uomo di "destra"
Grande amante della tradizione inglese e della vita metodica, non amava viaggiare e odiava tutto ciò che era francese. Sposò la donna di cui si innamorò a sedici anni e fu contrario all'abbandono del latino nella liturgia. Così descrive J.R.R. Tolkien la biografia di Hurphey Carpenter appena uscita in Italia.
Dormiva non più di cinque ore per notte. Dopo quattro figli, lui e la moglie decisero per le camere separate, perché lui russava. Si alzava prestissimo al mattino, svegliava i tre maschietti e, con loro, in bicicletta faceva qualche chilometro per andare a messa nella chiesa cattolica più vicina. Al ritorno faceva colazione (a quel tempo per fare la comunione occorreva essere digiuni dalla sera precedente) e si sbarbava.
Da buon inglese conservatore era metodico nelle sue abitudini. Odiava i dandy (che sospettava di omosessualità) alla Oscar Wilde e perciò si vestiva in modo usuale a comodo, flanella e tweed. Tanto, a lezione indossava la toga e si metteva il tight solo se c’era qualche cena accademica a cui dover presenziare. Unici svaghi, la pipa e la conversazione con gli amici davanti a una pinta.
Si innamorò di sua moglie quando aveva sedici anni, e fu un amore contrastato. Edith si chiamava, e fu l’unica donna della sua vita. Quando doveva portare i bambini in vacanza al mare, era nei luoghi più scontati e banali della media borghesia inglese. Odiava tutto ciò che era francese, a cominciare dalla cucina. Conoscendo i sapori e la varietà di quest’ultima rispetto a quella inglese ci sarebbe da restare allibiti, ma questo aiuta a capire l’uomo e il suo amore sconfinato per tutto quanto era inglese. Per lo stesso motivo viaggiò pochissimo e solo per necessità.
Nel Signore degli Anelli ciò che scoraggia la lettura nel neofita sono le prime quasi trecento pagine, tutte dedicate alla descrizione del mondo degli Hobbit. Ebbene, qualcuno ha arguito che Tolkien non dovette fare altro che osservare se stesso, la sua passione per la tradizione, per le abitudini consolidate, per la vita pacifica e senza scossoni. Infatti, Bilbo, the hobbit, piange perché «le avventure non finiscono mai».
Per tutto ciò Tolkien «fu, per dirla con un’espressione moderna, un uomo di destra». Così scrive Humphrey Carpenter nel suo corposo J.R.R.Tolkien. La biografia (Lindau, pp. 438, €. 28). Un uomo di destra «per il fatto che onorava il suo re e la sua patria e non credeva nella capacità di governo del popolo». Per lui la democrazia richiedeva «princìpi spirituali» che si corrompevano nel «tentativo di renderli meccanici e formali». Così scriveva lui stesso. E concludeva, profeticamente: «Fino al giorno in cui qualche Orco non entrerà in possesso dell’Anello del Potere: e allora quello che otterremo, e stiamo ottenendo, sarà la schiavitù».
Sempre per gli stessi motivi, «un’altra fonte di infelicità fu, in età avanzata, l’abolizione della messa in latino». Proprio lui, il linguista, lui che aveva creato un’intera mitologia per supportare con una saga le lingue che aveva inventato, il quenya e il sindarin di radici finniche e celtiche: se c’era uno che conosceva in profondità il significato di una lingua antichissima e universale era lui, lui che nella sua opera immortale aveva spiegato come certe porte potessero aprirsi solo al suono di una certa lingua, e solo a quello. Forse era troppo vecchio per firmare l’appello che una sessantina di intellettuali inglesi (tra cui lord Acton, Malcom Muggeridge, Agatha Christie) rivolse in quegli anni a Paolo VI affinché la messa di san Pio V restasse immutata.
Tolkien, come si è detto, non amava viaggiare. Non ne aveva bisogno, viaggiava la sua fantasia, capace di creare «un progetto grandioso e stupefacente, che ha pochi eguali nella storia della letteratura». Cominciò con un quaderno di appunti, The Book of Lost Tales, «Il libro dei racconti perduti», che poi sarebbe stato conosciuto come Il Silmarillion. Le storie della Terra di Mezzo (Middle Earth, dal norvegese Midgard) costituiscono, con Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, compresi i mille rivoli che da essi si dipartono (come I figli di Hurin, per esempio), l’invidia di ogni scrittore, il cui sogno è passare alla storia con una sola invenzione. E magari farci tanti quattrini, come la Rowling con il suo Harry Potter. Con la differenza che la profondità del lavoro di Tolkien il maghetto se la sogna. Non per niente Tolkien «aveva sempre la sensazione di registrare qualcosa che esisteva già, da qualche parte, e non di “inventare”».