Toghe in guerra col governo senza fare mea culpa
Scontro furibondo tra l'Anm e Renzi. L'accusa di Davigo sui politici che rubano è figlia di Tangentopoli, ma ormai le procure, dopo aver dettato le agende degli esecutivi, si comportano come un'entità religiosa. E chi sgarra, come la pm del caso Garko, viene scomunicato.
Questa sì che è giustizia. Il neo presidente dell'Anm Piercamillo Davigo ha accusato i politici di delinquere e fare danni peggiori dei ladri da strada facendo infuriare governo, colleghi e opposizione. Il pm di Imperia Barbara Bresci è finita nel mirino dei suoi superiori perché avendo detto su Facebook che Gabriel Garko è bello, si è vista togliere l'indagine che vedeva l'attore testimone di un fatto di cronaca nera e adesso il Csm sta valutando se abbia o no infangato l'onorabilità della magistratura.
A margine, o a completamento, c'è l'assoluzione con formula piena per il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, che ieri si è visto riconoscere la sua completa estraneità ai fatti: la procura di Bologna l'aveva sbattuto in galera per 20 giorni e aveva chiesto la bellezza di 12 anni e l'affidamento ai servizi sociali. I pirati della strada ubriachi vengono trattati meglio, ma fa lo stesso.
C'è altro nel menù di giornata? La magistratura è ufficialmente in causa con il governo, per usare una terminologia cara alle procure e sembra davvero che a Sinistra si mettano in moto i meccanismi protezionistici dei tempi di Tangentopoli, solo che stavolta Davigo le ha cantate proprio a Renzi.
«Fa le stesse cose (inteso degli altri ndr): aumenta le soglie di rilevanza penale. Aumenta la circolazione dei contanti, con la scusa risibile che i pensionati non hanno dimestichezza con le carte di credito». Un attacco in piena regola che deve aver fatto comprendere al premier, come se l'inchiesta sul petrolio in Basilicata non bastasse, che lo scontro con le toghe è roba seria. Un attacco così forte all'operato del governo di Sinistra da parte di un magistrato simbolo del pool di Mani Pulite non lo si vedeva da tempo. E forse non lo si era mai visto.
E poco importa che in serata Davigo abbia proceduto con una nota di chiarimento: «Non volevo dire che tutti i politici rubano». Comunque: mezzo Pd è in rivolta e accusa il magistrato di essere stato nell'ordine: ruvido, ingeneroso, in cerca di notorietà, pieno di pregiudizi, generalizzatore da bar. Tutta farina Dem, mica di Forza Italia che a sentirsi rivolgere queste accuse ormai ha fatto il callo.
Si vede che lo spauracchio della responsabilità civile dei pm, auspicio passato per osmosi da Berlusconi a Renzi, deve impensierire parecchio le procure. Infatti nella sua intervista al Corriere della Sera, che ha dato fuoco alle polveri ieri, lo ha tirato fuori subito: ha accusato la norma attuale, perché costringerebbe il giudice a non fare più il processo perchè avrebbe la tentazione di difendersi. Però non ha suggerito una proposta.
E' scontro di poteri? Teoriacamente sì, siamo alle scaramucce però. Di sicuro le inchieste che lambiscono il governo sembrano tenere Renzi con il freno a mano tirato nella partita della riforma della giustizia, che non è ancora decollata e mai si sa se decollerà. Con questi chiari di luna sarà dura.
Vicende come quelle di Davigo e della pm “punita” per aver disonorato il buon nome della procura (ha detto ciò che ogni essere umano di sesso femminile pensa, cioè che Garko è un gran figo, figuriamoci se avesse detto che Raul Bova non sa recitare) dimostrano che il sistema giudiziario italiano, dopo aver condizionato il destino di governi e giunte comunali, è pronto per il grande salto: diventare una chiesa. Con i suoi dogmi, con i suoi riti, con i suoi anatemi e le sue scomuniche. Il governo attacca? E il sindacato delle toghe grida al golpe per lesione del prestigio. Il meccanismo si ripete, solo che stavolta ha cambiato sponda. Vedremo chi vincerà la partita.
Comunque, se la magistratura voleva difendere il suo onore e la sua rispettabilità forse è arrivata un po’ tardi. Negli ultimi vent’anni in Italia abbiamo avuto magistrati vanitosi e arrivisti, i quali hanno occupato la televisione e i giornali accusando in lungo e in largo cittadini e politici, altri che hanno fatto finta di niente sullo sputtanamento con quintali di intercettazioni e atti secretati ai cronisti, non proprio il massimo della legalità, altri ancora che hanno avviato inchieste-gogna finite poi in nulla o con assoluzione piena, ma hanno fatto in modo che qualcuno le pubblicizzasse così bene sui giornali che sembravano credibili.
Infine non ci siamo risparmiati neanche magistrati tribuni scesi in politica forti del ruolo di fustigatori dei costumi. E nemmeno procuratori vestali della legalità, in grado di incenerire una persona, magari incensurata, con un’intervista. Insomma: in questi anni la magistratura ci ha abituato ad essere protagonista narcisa in svariate salse e in alcuni casi abbiamo addirittura pensato che il giudice potesse diventare il nuovo opinion leader della modernità, il nuovo ipse dixit del circuito mediatico. O il nuovo Dio in grado di decidere a suo piacimento se un uomo che oggi si sente donna debba essere giustamente chiamato Valeria o una coppia di omosessuali abbia diritto di chiamarsi famiglia.