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POLITICA

Testimoni, cioè concreti

Nel dibattito politico tra cattolici - non soltanto pre-elettorale – è ricorrente la contrapposizione tra testimonianza e concretezza. Un dualismo che non ha ragioni: si è veramente testimoni di fede se si è capaci di incidere, mentre un pragmatismo sganciato dalla legge naturale è tutt'altro che concreto.

Editoriali 03_03_2018

Nel dibattito politico tra cattolici - non soltanto pre-elettorale – è ricorrente la contrapposizione tra testimonianza e concretezza. E curiosamente è uno schema usato trasversalmente. Se vuoi testimoniare la tua fede e affermare certi princìpi sei condannato a non ottenere nulla sul piano politico, se invece vuoi portare a casa qualcosa (in termini di risultati per il bene della società) non puoi fare il duro e puro.

Da una parte dunque abbiamo coloro che dicono che in politica bisogna puntare ad avere dei risultati, e quindi per ottenere A bisogna cedere qualcosa di B; dall’altra c’è chi in fondo non considera importante raggiungere né A né B, basta affermare il principio e prima o poi qualcosa cambierà. Non faccio esempi concreti per evitare che questo discorso venga ridotto alla presunta volontà di attaccare questo o quello, ma credo che ogni lettore sia in grado di trovare mille esempi accanto a sé. Sicuramente nei dibattiti di questi giorni ne abbiamo trovato ampia dimostrazione.

Dunque: testimonianza o concretezza? Affermazione di princìpi o pragmatismo capace di limitare i danni di alcune proposte di legge? È un dilemma ben strano, anzi un falso dilemma. Perché la vera testimonianza di fede è concreta, e un pragmatismo sganciato dai princìpi della legge naturale è tutt’altro che concreto.
In una religione che si fonda sull’Incarnazione, su Dio che si fa uomo e rivela l’uomo a se stesso, che condivide in tutto (fuorché il peccato) ciò che viviamo, che se ne fa carico e prende su di sé tutto il peso del nostro peccato, come si può non percepire una profonda unità tra testimonianza a Cristo e concretezza nelle scelte politiche, ovvero capacità di rispondere efficacemente ai bisogni degli uomini?

Una testimonianza ridotta ad enunciazione di princìpi, che non è capace di incidere, è una forma di spiritualismo astratto. Di più, una presenza politica che non sia capace di riconoscere ciò che in un dato momento storico e in certe situazioni può essere usato per la costruzione del bene comune, non è vera testimonianza. Se vogliamo fare un esempio concreto riferito al tema delle elezioni, vuol dire tra l’altro che non ha alcun senso evitare di far eleggere un politico “buono” perché si sta costruendo un ideale futuro in cui chissà quanti “buoni” eleggeremo.

Nello stesso tempo però non si deve confondere la capacità di incidere con l’ottenimento di un risultato immediato. Vale a dire che se ci si trova davanti a una legge ingiusta, che nella sua intenzione capovolge o nega la legge naturale, non si può scambiare per efficacia un compromesso che ne limiti gli effetti più perversi. Non si può accettare di uccidere ottanta persone – ma neanche una - perché altrimenti se ne sarebbero uccise cento. Uccidere volontariamente degli innocenti è un male in sé e in nessun caso possiamo accettare di compierlo. In questo caso incidere significa lottare fino in fondo e con tutte le armi possibili per evitare una legge malvagia, pronti a perdere la battaglia pur di non compromettere la guerra. L'orizzonte entro cui la nostra azione va compresa non può essere ridotto a un voto parlamentare o a un appuntamento elettorale. Peraltro, se alcuni cattolici “del male minore” avessero invece usato questo criterio nella passata legislatura quasi certamente certe leggi – come quella sulle unioni civili – non sarebbero passate.

C’è dunque una profonda unità tra testimonianza e concretezza che non può essere negata. Si è davvero testimoni se si è profondamenti radicati in una appartenenza che non è di questo mondo e proprio per questo si è capaci di leggere la realtà e in grado di usare tutti gli strumenti possibili per costruire il bene comune.