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BOMBA IN METRO

Terrore a San Pietroburgo, avvertimento a Putin

Il terrorismo colpisce la seconda città della Russia con una bomba nella metropolitana, in un vagone della linea blu, fra la stazione dell’Istituto Tecnologico e quella di Piazza Sennaja, in pieno centro. Decine di morti e feriti. Pur mancando una rivendicazione, gli indizi portano allo Stato Islamico.

Esteri 04_04_2017
San Pietroburgo, dopo la bomba

Dopo Berlino e Londra, ora tocca a San Pietroburgo. Il terrorismo colpisce la seconda città della Russia con una bomba nella metropolitana, in un vagone della linea blu, fra la stazione dell’Istituto Tecnologico e quella di Piazza Sennaja, in pieno centro, punto di snodo di tre linee della metropolitana. Un secondo ordigno è stato trovato anche in Piazza della Rivoluzione. Il bilancio ancora provvisorio parla di almeno 14 morti e 47 feriti, di cui 6 verserebbero in gravi condizioni. Non ci sono rivendicazioni. Gli indizi e la modalità dell’attacco farebbero però pensare a una nuova azione dell’Isis.

L’attentato è avvenuto alle 14,20 ora locale. La prima notizia parlava di esplosioni multiple nelle due stazioni coinvolte, poi si è accertato che la bomba esplosa fosse una. Si trattava di un ordigno nascosto in una valigetta 24ore, lasciata incustodita nel vagone. Non è stato un attacco suicida, dunque. La bomba era “arricchita” con schegge di metallo, in modo da fare più vittime e feriti possibili. Secondo una prima testimonianza oculare, un uomo avrebbe lasciato la valigetta nel vagone e si sarebbe dileguato, in mezzo alla folla. Nelle ore successive all’attentato sono circolate anche foto di un primo sospetto: un uomo apparentemente in abito tradizionale islamico nero, barba lunga e copricapo. Non è detto, però, che si tratti di una foto autentica. Quando la bomba è esplosa, tutta la rete metropolitana di San Pietroburgo, una delle principali reti pubbliche sotterranee del mondo (due milioni di passeggeri al giorno) è stata chiusa per precauzione. Nella metropolitana di Mosca, invece, sono aumentati i controlli. Per poco la strage non è raddoppiata, perché nelle prime ispezioni delle stazioni è stato trovato un secondo ordigno, un’altra valigia piena di esplosivo e pezzi di metallo, nascosta dietro a un estintore.

Come sempre quando la Russia è colpita dai terroristi, le autorità rilasciano dichiarazioni con il massimo della prudenza possibile. Ancora ad ore di distanza, il presidente Putin ha affermato che gli inquirenti “non escludevano” la pista del terrorismo. Poi è arrivato il premier Dmitri Medvedev, che in serata ha parlato sul suo profilo Twitter di “attacco terroristico”, così come il Comitato Antiterrorismo della Duma (la camera bassa del parlamento russo) e il procuratore generale.

Se è terrorismo, chi è stato? Benché non ci siano rivendicazioni, gli indizi portano allo Stato Islamico. Sui cui siti l’attentato veniva festeggiato nel pomeriggio. Nei mesi scorsi, gli jihadisti dell’Isis avevano già lanciato una campagna propagandistica contro la Russia con immagini del Cremlino che crolla e lo slogan “Bruceremo la Russia”. Da sempre nel mirino dei jihadisti di Al Qaeda, per la sua lunga guerra in Cecenia, la Russia è un bersaglio prioritario dell’Isis soprattutto da quando è intervenuta in Siria al fianco di Bashar al Assad, nel settembre 2015. L’Isis ha anche rivendicato l’attentato contro il volo Sharm el Sheikh-San Pietroburgo del 31 ottobre 2015, dove perirono 224 persone, tutti i passeggeri e l’intero personale di bordo.

La pista cecena è meno probabile. Dal 2011, dopo che la guerra è stata dichiarata chiusa, almeno ufficialmente, dall’allora presidente Medvedev, gli attentati di matrice indipendentista cecena, condotti da gruppi terroristici locali, non sono più avvenuti nelle grandi città. L’ultimo fu, ancora, in una metropolitana, quella di Mosca, nel 2010: 38 morti, provocati da due “vedove nere”, le donne terroriste suicide mogli di combattenti caduti. Un anno prima, i terroristi avevano colpito il treno ad alta velocità che collega Mosca a San Pietroburgo. Entrambe le stragi erano state rivendicate dal leader jihadista ceceno Dokka Umarov, il più radicale dei guerriglieri che combattevano contro Mosca e il governo filo-russo in Cecenia. Dopo sette anni di pausa la matrice potrebbe essere molto più internazionale. La Russia non viene più colpita nell’ambito di una guerra interna, ma di un conflitto mediorientale in cui i volontari partiti dalla Federazione per andare a combattere nelle file del Califfato sono circa 3000, di cui almeno 250, secondo le stime, già tornati in patria. Se i conti sono giusti, la Russia è, suo malgrado, il terzo contributore al mondo di “foreign fighters”, dopo Tunisia e Arabia Saudita.

Il giorno e il luogo scelti per l’attentato non sono casuali. Ieri il presidente russo Putin si trovava a San Pietroburgo, pronto a incontrare il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko. La bomba nella metropolitana della “sua” città è un chiaro avvertimento al presidente. Ed è anche una chiara dimostrazione della fragilità del sistema di sicurezza. Le metropolitane di San Pietroburgo e Mosca sono infatti due fra i luoghi più sorvegliati del paese. L’attentato giunge in un momento di grande tensione politica, dopo gli arresti alle manifestazioni anti-corruzione promosse da Andrei Navalny. Il popolo della rete più vicino all’opposizione, immancabilmente, parla di complotto, strategia della tensione e si chiede se questa bomba non sia il pretesto per scatenare la repressione contro tutte le opposizioni interne. L’esito più probabile, indipendentemente dai risultati delle indagini (appena cominciate) sarà un moto di orgoglio, unità nazionale e fiducia nel Cremlino, come dopo le bombe a Mosca, il massacro di Beslan (2004) e quello al teatro Dubrovka (2002) e tutte le stragi terroristiche che, dal 1999 in poi, hanno insanguinato la Russia.

Difficile, invece che, in questi tre giorni di lutto proclamati a San Pietroburgo, si veda altrettanta solidarietà nelle capitali occidentali. Non quanto dopo gli attentati di Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino e Londra. I jihadisti contano anche su questo. Nei loro piani colpiscono nemici divisi fra loro e nei “manuali” sulla guerriglia in Europa danno per scontato che fra Russia e Nato ci sarà una guerra. Per lo meno: loro ci contano.