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RAPPORTO

«Tav inutile»: come volevasi dimostrare

I tecnici che avevano fatto il progetto della Torino-Lione dieci anni fa ora ammettono: calcoli sbagliati. È quanto avevamo già sostenuto. Ma arrivati a questo punto dicono che si deve continuare. Sarebbe un altro clamoroso errore.

Editoriali 22_02_2018
Il cantiere TAV a Chiomonte

Dicono che il tempo è galantuomo. Forse è davvero così. Un esempio da manuale è quello che emerge dalla lettura di un recente documento dell'Osservatorio per l'asse ferroviario Torino - Lione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel quale si può leggere: "Non c’è dubbio, infatti, che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica... Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni e nessuna persona di buon senso ed in buona fede può stupirsi di ciò... Dobbiamo liberarci dall’obbligo di difendere i contenuti analitici delle valutazioni fatte anni fa".

Scusateci, sembrano dire i tecnici dell'Osservatorio, ma dieci anni fa era impossibile prevedere quanto sarebbe emerso in seguito. Verrebbe da domandarsi il perché, allora, fare delle previsioni. Ma la realtà è molto diversa da quella narrata nel documento. A più riprese, fin dal 2005, ben prima dunque del manifestarsi della recessione economica, sono apparsi numerosi contributi di economisti dei trasporti che mostravano come le previsioni di crescita dei traffici fossero del tutto irrealistiche e come, pur con ipotesi di aumento della domanda assai ottimistiche, il progetto non risultasse economicamente fattibile. Fin da allora vi erano dunque, a volerli prendere in considerazione, tutti gli elementi conoscitivi necessari per fermare il progetto.

Seppure in clamoroso ritardo, sono ora gli stessi proponenti del progetto a porsi l'interrogativo. Leggiamo ancora nel documento: "La domanda che i decisori devono farsi è invece un’altra: al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora? Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittura, è meglio interrompere e rimettere tutto com’era prima?".

Purtroppo, la risposta che viene data all'interrogativo sembra dare ragione a quanto ebbe a scrivere Henry Kissinger: "Quando un ragguardevole prestigio burocratico è stato investito in una politica è più facile vederla fallire che abbandonare”.

Si riesuma la retorica dell'«anello mancante» della rete ferroviaria europea, si ripropongono le già più volte confutate motivazioni ambientali a favore del trasferimento modale dalla strada alla ferrovia e si afferma di voler proseguire lungo il percorso intrapreso senza peraltro fornire alcun nuovo elemento quantitativo a sostegno della fattibilità economica di una linea destinata, in assenza di provvedimenti volti a ostacolare il trasporto su gomma ossia a incrementare artificialmente i costi del trasporto, a restare drammaticamente sotto utilizzata. Per molti decenni non si registrerà infatti alcun vincolo di capacità sulla rete stradale, unico fattore che potrebbe, a determinate condizioni, giustificare l'opera. I tunnel stradali sul versante occidentale delle Alpi sono infatti utilizzati all'incirca per un terzo ed è in fase di realizzazione una seconda "canna" del traforo del Fréjus che allontanerà ulteriormente la prospettiva di saturazione delle infrastrutture esistenti.

Errare è umano ma perseverare sarebbe veramente diabolico.