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Tassato il divorzio. Meglio però tutelare la famiglia

La finanzaria impone 37 euro sulle separazioni consensuali, 85 sulle conflittuali e 10,5 milioni d'incasso
per lo Stato. Sarà giusto?

Attualità 12_07_2011
divorzio

 

Dunque, nella nuova manovra finanziaria è prevista una tassa sul divorzio. Sono 37 euro per le separazioni consensuali e 85 per quelle conflittuali che comportano questioni giuridiche relative a beni e figli, quindi l’intervento del giudice. La novità è contenuta nel capitolo Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie», dove viene modificato l’elenco dei procedimenti da affrontare in tribunale che ora sono a costo zero.

Secondo una stima resa nota dal quotidiano economico Il Sole-24 Ore, visto che nel 2010 le separazioni sono state circa 114mila separazioni e i divorzi oltre 66mila (nel 70% consensuali), la nuova tassa sul divorzio dovrebbe portare all’erario un gettito di circa 10 milioni e mezzo.

Di gioire, evidentemente non vi è ragione. Il divorzio è una piaga. Molto spesso uno dei coniugi finisce al lato pratico per subirlo anche quando non ne condivide “la filosofia”.
Inoltre, non può far piacere nemmeno l’idea che una nuova entrata per lo Stato (che di suo contribuisce a sanare i conti pubblici, cioè va a vantaggio del bene comune) sia generato da una norma iniqua. D’altro canto non si può trascurare, prima ancora di ogni giudizio etico, un fatto concreto: la nuova tassa rende il divorzio più difficile, se non altro più costoso.
Ciò detto, questi ragionamenti né esauriscono la questione, né la soddisfano. Ve ne sono infatti doverosamente altri da fare, e una volta tanto finalmente in positivo.

Ricordiamo anzitutto gli antefatti, poiché qualcosa di analogo accadde già in passato allorché qualche deputato, unendo considerazioni morali ed economiche, propose questo ragionamento: dal momento che ogni aborto procurato costa circa 1000 euro allo Stato, non si può prevedere che chi vi ricorre più volte, come purtroppo accade assai spesso, sia costretto  almeno a pagarsi gli aborti successivi al primo?

Ci fu, ricordo, una levata di scudi imperiosa e sincronizzata. In Italia si possono pagare alcuni esami anche necessari in caso di gravidanza, per tutelare la salute della madre e del figlio, ma l’aborto deve essere libero e gratuito, sempre!
Alcuni anni dopo questa proposta, un altro deputato, l’onorevole Falsitta, lanciò un’altra idea interessante: quella di aumentare la tassazione sulla pornografia, con un duplice fine, fare cassa e scoraggiare un mercato vergognoso.
Ci fu una lunga discussione e si arrivò a questa conclusione: in Italia si tassa tutto, anche l’aria che respiriamo, ma i professionisti del porno, quelli vanno tutelati! Altrimenti il mercato crolla…
Vedremo dunque cosa succederà con la tassa sul divorzio.
Rispetto a cui, per intanto, è bene fare alcune considerazioni.

Anzitutto ci si poteva aspettare, da un governo alternativo alla Sinistra, una serie di provvedimenti a favore della famiglia, sul modello di quelli che esistono in altri paesi europei. Perché, per esempio, una mamma in Germania ha diritto di stare a casa con suo figlio per tre anni, e da noi questo è, di solito, assolutamente impossibile? Perché in Germania e Gran Bretagna i neonati, che vengono considerati una ricchezza del paese, ricevono un assegno mensile, mentre da noi un figlio è considerato un fatto esclusivamente personale?

Una politica per la famiglia sarebbe utile anche allo Stato, perché genererebbe ricchezza, forze nuove e stabilità sociale.
Detto questo analizziamo più nel dettaglio questo provvedimento.
Le domande che sorgono spontanee sono le seguenti: perché il governo propone questa tassa? Per fare cassa, o per aiutare la famiglia? O per entrambi i motivi? Domande interessanti, ma, forse, da accantonare: perché ognuno potrebbe avere una risposta diversa e perché il processo alle intenzioni, in certi casi, serve a ben poco.

Limitiamoci dunque ad alcune constatazioni inequivocabili.
La prima: fare cassa non sarà difficile. Mentre infatti cala ogni anno il numero dei matrimoni in Chiesa e il numero dei matrimoni in assoluto, cresce  quello delle separazioni e dei divorzi. Oggi in Italia ci si sposa meno che negli anni in cui il nostro paese, durante la II guerra mondiale, era sotto i bombardamenti. Non c’è la guerra guerreggiata, insomma, ma l’effetto è ancora più devastante: non sui corpi, ma sulle anime, sull’entusiasmo, sulla voglia di vivere, sulla capacità di fare progetti, di guardare avanti, di fidare nella persona che si ha accanto e che si è scelta, con un atto di ragione e di volontà….

In compenso, se i matrimoni calano, i divorzi sono passati dai 10.618 del 1975 ai 27.038 del 1995, ai 33.510 del 1998, ai 61.153 del 2006… Questa crescita comporta anche un nuovo business dal momento che ogni divorzio, muove, inizialmente, molti soldi: avvocati, psicologi, necessità magari di trovare una seconda casa laddove prima ne bastava una…

La seconda constatazione: ammesso che questa tassa porterà soldi allo Stato, è anche vero che potrà  scoraggiare qualche divorzio, soprattutto perché si aggiunge ad una crisi generale che ha già di per sé un effetto frenante. Infatti è abbastanza chiaro che ai numerosissimi divorzi che già esistono, se ne aggiungerebbero molti altri qualora certe coppie non fossero consapevoli dell’impossibilità di marciare divise. Accade cioè spesso che una coppia oggi attraversi un momento difficile, e lo superi, proprio per motivi economici: perché ci si rende conto che andare avanti senza più contare sull’aiuto reciproco sarebbe impossibile. Non sarà una motivazione alta, per tenere in piedi una storia d’amore, ma non di rado è proprio la realtà che ci può richiamare a ciò che è, in ultima analisi, il nostro bene. Renderci conto della nostra dipendenza dall’altro, può dunque essere un sano richiamo e un freno all’istintività e alla volontà nichilista ed egoista di disfare frettolosamente quello che si è pazientemente ricostruito.

Anche perché sappiamo bene che è sempre più incombente una nuova povertà. Una indagine pubblicata sul Corriere della Sera del 23 ottobre 2010 segnalava che “nel dormitorio dei disperati, uno su cinque è un papà separato”, costretto a lasciare la casa che condivideva con la sua famiglia. «Qui vengono alla fine - dichiarava padre Clemente, responsabile di un dormitorio di Milano- quando crollano. I primi mesi dormono sulle macchine, da amici, sul posto di lavoro», finché non sono costretti a ricorrere a qualche associazione caritatevole.

Una recente relazione sulla “nuove povertà”, a opera della Provincia di Trento, sottolineava come separazioni e divorzi “dimezzano le risorse affettive, relazionali ed economiche e raddoppiano le spese. Due case, due mutui o due affitti. Una mamma sola con uno o più figli, o un uomo solo, sono oggi, secondo le esperienze ascoltate durante le audizioni svolte, più vulnerabili”.

È sempre stato così: nella Unione Sovietica l’introduzione del divorzio libero e con effetto immediato generò una ondata di povertà, infanticidi, uxoricidi, abbandoni e disperazione. Stalin stesso, per evitare che questo fenomeno, che aveva raggiunto livelli terrificanti, travolgesse il paese, introdusse in due occasioni, nel 1936 e poi nel 1944, una serie di tasse e balzelli per frenare la corsa ai divorzi, con notevoli risultati.

Se dunque è facile che la nuova tassa, abbia effetti benefici sul tessuto sociale, occorre anche chiedersi, però, se sia giusta in se stessa o meno.
Prima di farlo si può ricordare che anche il governo britannico ha battuto lo stesso sentiero prima di noi. Scriveva a questo proposito Manuela Mirkos su La Bussola Quotidiana del 12 gennaio: «L’iniziativa [britannica] sortirebbe un doppio vantaggio, secondo i proponenti: da una parte quello di finanziare il complesso e costoso sistema statale che assiste nel mantenimento dei figli di divorziati e dall’altra scoraggiare la rottura del vincolo matrimoniale, inducendo la coppia in crisi a considerare la separazione esclusivamente come un rimedio estremo da evitare a tutti i costi».

Proprio queste considerazioni ci portano a un’ultima constatazione: il divorzio è sempre un grosso costo anche per la società, per lo Stato, soprattutto quando di mezzo ci sono i figli.
Esso comporta infatti, a livello macroscopico, un aumento enorme della instabilità sociale: delitti passionali e suicidi sono solo l’aspetto più evidente. Vanno poi considerati il maggior ricorso, di chi abbia vissuto o subito il divorzio, a medici, psicologi e servizi vari. Soprattutto questo accade per i figli dei divorziati: è certo infatti che queste creature vivono un trauma fortissimo, certificato per esempio dagli operatori del Telefono Azzurro, che si ripercuoterà molto spesso su tutta la loro vita futura, anche lavorativa oltre che familiare.

L’entrata sempre maggiore, nella scuola, di psicologi, insegnanti di sostegno e figure similari, estremamente costosi per la collettività, è proprio legata, in buona parte, a nuove problematiche dei giovani, scatenate dalla progressiva devastazione dell’istituzione familiare.
Una tassa per far fronte ad alcune di queste spese, che lo Stato già oggi sostiene, sembra dunque perfettamente legittima. Certo, il suo effetto sarà limitato.
Occorrerebbe iniziare a fare ragionamenti di più ampio respiro.

Ma se vogliamo rimanere sul terreno delle tasse, ci aspettiamo quantomeno che qualcuno torni a proporre che i 1000 euro pagati dalla collettività per ogni aborto procurato, siano a carico di chi vi ricorre, e che analoga cifra sia invece data a chi i figli li accetta, li serve e li educa. Aspettiamo anche che qualcuno torni a proporre una maggior tassazione sulla pornografia: potrebbe essere, per esempio, la nuova battaglia delle donne nuovamente riunitesi proprio in questi giorni nel movimento “Se non ora quando?”. Se non altro darebbero un segnale chiaro di non aver fatto tutto solamente per immediati scopi politici.