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decisionista

Tassa sugli extraprofitti: il governo sfida i poteri forti

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L'esecutivo "scippa" una misura su cui hanno sempre insistito le sinistre per redistribuire il reddito, sottraendo margini agli istituti di credito per darli a famiglie e imprese. Una mossa non ideologica, che mira al bene del Paese. Ma con qualche distinguo.

Editoriali 10_08_2023

Le politiche che il governo Meloni sta portando avanti fin dal suo insediamento possono piacere o meno, ma di certo mostrano il piglio decisionista del premier, che va avanti per la sua strada portando avanti quella che è la sua visione di Paese. Una delle misure destinate a far più discutere, come si percepisce nelle ultime ore, è quella decisa nell’ultimo consiglio dei ministri, vale a dire la tassazione di circa il 40% degli extraprofitti maturati dalle banche in questi mesi.

Le prime riflessioni che sorgono spontanee riguardano l’atteggiamento dell’esecutivo che ha deciso di infischiarsene dei cosiddetti poteri forti – e le banche passano per esserlo –  e di imporre una misura che punta a redistribuire il reddito, sottraendo margini agli istituti di credito per darli a famiglie e imprese, che patiscono difficoltà crescenti a causa dell’ondata inflattiva e del caro prezzi di generi di prima necessità. Il governo era assai preoccupato, infatti, dell’impennata dei tassi di interesse, che sta tuttora incidendo sulla contrazione di mutui e finanziamenti.

Peraltro le sinistre, in particolare i Cinque Stelle, hanno da sempre insistito per questo tipo di misure e dunque si vedono “scippare” dall’esecutivo la paternità di un provvedimento che da un certo punto di vista appare più di sinistra che di destra ma che, in verità, è di semplice buon senso.

È la riprova che il governo Meloni non sta avendo un approccio ideologico ai temi economici e sociali ma semplicemente sta guardando all’interesse complessivo del Paese, tentando di frenare le spinte centrifughe sul piano sociale e di scongiurare il rischio del progressivo impoverimento del ceto medio.

Un governo con una forte legittimazione popolare come quello in carica dimostra dunque di avere il coraggio di intraprendere strade che possono anche urtare la suscettibilità di settori importanti del mondo finanziario. Un governo tecnico come i tanti che abbiamo avuto negli ultimi anni, a causa di una prolungata sospensione della democrazia con conseguente svalutazione del consenso elettorale, non avrebbe mai potuto prendere decisioni del genere perché avrebbe finito per penalizzare i suoi principali sostenitori. Anche su questo varrebbe la pena di riflettere, tirando conclusioni positive sull’attuale clima di stabilità politica.

Ma oltre a queste rose ci sono anche delle spine, che sarebbe un errore nascondere. Anzitutto alcune considerazioni sull’approccio antiliberale di queste misure vanno comunque fatte. Tassare gli extraprofitti in generale risponde a un intento redistributivo, come detto, ma finisce in alcuni casi (non è detto che quello delle banche sia uno di questi) per penalizzare chi produce e ha dimostrato di saper guadagnare più degli altri. Ecco perché tassare gli extraprofitti delle banche potrebbe avere per certi versi un risvolto anche un po “diseducativo” e di penalizzazione delle logiche del libero mercato.

Inoltre gli istituti di credito potrebbero ritrovarsi meno risorse per investimenti e progetti innovativi e dovrebbero in parte rinunciarvi. Peggio, potrebbero decidere di scaricare almeno in parte sui clienti i maggiori costi derivanti da questa misura del governo. In altre parole, potrebbero ancora una volta farne le spese i correntisti. Ovviamente su questo sarebbe opportuno che il governo intavolasse un dialogo con l’Associazione bancaria italiana per definire il percorso attuativo di questo provvedimento, affinchè non risulti deleterio per l’intero settore del credito.

Solo nel tempo si potrà misurare la bontà e l’efficacia di questa tassazione degli extraprofitti delle banche, che esponenti dell’esecutivo hanno comunque già qualificato come straordinaria. Una sorta di una tantum per aiutare le famiglie, alle prese con i mutui variabili, che oscillano verso l’alto non già per colpa del governo ma per scelta della Bce, che il sistema bancario italiano subisce. Tra le reazioni immediate vanno annoverate quelle favorevoli della politica (escluso il terzo polo, sia la destra che la sinistra hanno applaudito all’iniziativa) e quelle negative dei mercati: alcuni titoli bancari sono crollati e lo spread è salito. Vedremo se nei prossimi giorni ci sarà un assestamento dei valori di borsa.

Infine un dato sul sistema bancario. Le banche continuano a diminuire: 439 nel 2022 contro le 456 dell’anno precedente e le 740 del 2011. Sono cifre di Banca d’Italia, che confermano i processi di aggregazione in corso in quel settore e la riduzione delle filiali delle banche europee nel nostro Paese. C’è molto di fisiologico ma si conferma il fatto che le banche digitali stanno prendendo il sopravvento e che la concorrenza spietata che le fintech stanno facendo alle banche tradizionali è un segno dei tempi che non va ignorato. Morale: le banche devono saper dimostrare di riuscire a innovarsi, a prescindere da quelle che saranno le politiche creditizie che il governo attuale e quelli futuri intraprenderanno.



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